
di Martina Cossia Castiglioni
Per il cinema italiano è un momento di esordi con dei lungometraggi che, senza pretendere di essere il ritratto assoluto di una generazione, offrono sguardi diversi sul mondo (o sui mondi) dei ventenni. Sara Petraglia firma la sua opera prima L’albero, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma lo scorso ottobre. La pianta del titolo è un pino domestico che le due protagoniste, Bianca e Angelica, vedono dalla finestra dell’appartamento che condividono nel quartiere Pigneto, a Roma. Bianca diserta le lezioni all’università, annota i suoi pensieri in un diario e sta lavorando, dice, a tre romanzi: uno sulla cocaina, uno sull’amicizia e uno (forse) sull’amore. Angelica viene dall’Aquila, e ancora ricorda il terremoto. Le loro giornate sono scandite dalla ricerca e dal consumo di cocaina, come se drogarsi fosse l’unica forma per provare emozioni diverse dalla tristezza o dalla noia. E questo in una dimensione quasi senza tempo, dove il giorno e la notte si confondono, gli adulti sembrano non esistere, e persino gli amici delle due ragazze, ventenni come loro, appaiono marginali. Lo sguardo è soprattutto quello di Bianca, che dopo la partenza di Angelica per Milano decide che forse qualcosa può e deve cambiare.
Sara Petraglia (che con il personaggio di Bianca ha in comune l’amore per la scrittura) non è nuova al mondo del cinema. È stata fotografa di scena in alcuni set e suo padre è lo sceneggiatore Sandro. La regista dimostra di saper dirigere con maestria le due attrici Tecla Insolia (Bianca) e Carlotta Gamba (Angelica) – sulla loro interpretazione si regge gran parte della pellicola – alle quali dedica intensi primi piani. Sara Petraglia ha sui personaggi il punto di vista di chi osserva senza giudicare, in un film non perfetto ma con una sua freschezza e originalità.


Anche l’attore Luca Zingaretti debutta dietro la macchina da presa con una storia che riguarda, almeno in parte, una dipendenza: La casa degli sguardi, tratto dall’omonimo romanzo di Daniele Mencarelli, film presentato alla Festa del Cinema di Roma. Marco, il protagonista, ha poco più di vent’anni, scrive poesie, è molto sensibile e si porta dietro una sofferenza profonda, legata soprattutto alla morte della madre. Un dolore che il giovane cerca di dimenticare con l’alcol. Dopo un brutto incidente d’auto, il padre e un amico editore trovano al giovane un lavoro come addetto alle pulizie al Bambin Gesù di Roma. Per i colleghi all’inizio è il «raccomandato», ma a poco a poco lo accolgono con simpatia nella squadra. Tra momenti di riscatto e nuove cadute, Marco scopre la solidarietà e una possibilità di uscire dall’oscurità che lo avvolge. La casa degli sguardi convince innanzitutto per l’interpretazione del bravo Gianmarco Franchini (al suo secondo ruolo cinematografico dopo Adagio di Stefano Sollima), capace di esprimere le fragilità e i mutevoli stati d’animo del personaggio. La regia di Luca Zingaretti – che si ritaglia il ruolo del padre, figura dolente e umana – è misurata, non si sprofonda mai del tutto nel dramma, né vengono offerte soluzioni consolatorie. C’è speranza per Marco, che si apre nuovamente agli altri, ma il finale resta, in fondo, aperto.


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