What Does That Nature Say to You? di Hong  Sang-soo

di Giulia Pugliese

Hong Sang-soo prende il bello e lo fa diventare brutto. In questo film prende tutto ciò che è idilliaco: la natura, la famiglia, l’amore e la poesia, e lo trasforma in qualcosa di vuoto e marcio, come l’orecchio trovato dal protagonista di Velluto Blu nella perfetta cittadina di provincia americana.
Una commedia che inizialmente ha tratti dolci: una famiglia che si sta creando, la natura della Corea rurale, l’ottimo cibo, tutto serve solo a fare da cornice a una situazione fatta di ipocrisie, apparenze e dettata da questioni dovute alle classe sociale. Il film è un disvelamento di una grande facciata e di verità che è meglio tacere, o se proprio bisogna dirle, meglio farlo in privato. Ma anche quando le diciamo, se la situazione ci fa comodo, è meglio lasciarla così com’è.
Il regista mette in scena un incontro che in realtà non avviene mai, che non porta neanche a uno scontro, perché tutto rimane nell’ombra, nell’apparenza, nei rapporti che sembrano informali ma sono dettati da regole non dette. La società coreana, per Hong Sang-soo, è uno specchio in cui i personaggi si rimandano messaggi finti, alimentando l’uno l’“immagine” dell’altro, come in una gara o in un circolo vizioso. Tutto ciò che conta ed è reale non viene detto, lasciando spazio solo a formalismi e cortesia. Al centro di questo riflesso ci sono le disuguaglianze sociali che governano i rapporti, anche a discapito della felicità di una figlia o delle proprie opinioni, persino a costo di fingere simpatia o affetto, che in realtà nascondono disprezzo.

Le parole, come ci dice Kontinel 25, sono vuote, ma qui il vero dramma è che le parole vuote vengono dette dai poeti. E allora forse anche l’arte, in una società così, non può avere valore. O chi la crea non può dargliene. Le parole di un poeta dovrebbero avere bellezza, intenzione e importanza. Anche per questo Hong Sang-soo fa film visivamente insignificanti ma concreti: qui tutto è meschinità. Il protagonista, che in effetti non è particolarmente brillante, viene deriso più volte. Forse perché fa finta di essere ciò che non è, ed è così ingenuo da non capire le situazioni. Quindi schernirlo non è poi così crudele, perché tanto lui non capisce. Alla fine, proprio chi è tacciato di essere matto parlerà in modo schietto, ma verrà zittito, perché non c’è spazio per la diversità, neppure d’opinione.
L’unica scelta stilistica evidente del regista è l’uso dello zoom sul protagonista, come a tentare di investigarlo dall’interno, senza però riuscirci. Forse perché non c’è nulla da investigare?
Lo spettatore inizialmente prova un senso di smarrimento, non capisce cosa sta vedendo e, a tratti, ciò che vede sembra superficiale, povero e privo di contesto. Questo smarrimento è la vera forza del film, perché permette una scoperta graduale della verità.
Nei film di Hong Sang-soo si ride tanto, anche in questo. Perché lo strumento principale è l’ironia: ciò che vediamo è divertente, ma se ci fermiamo a riflettere è tragico. È la messa in scena di una società che si autoalimenta di meschinità e rapporti finti, dove contano solo l’apparenza e il benessere, persino all’interno della famiglia.

Informazioni su Giulia Pugliese 36 Articoli
Giulia Pugliese Scrittrice Educazione 2011 - Master in EUC Group & CEERNT European Project 2006/2010 - Laurea triennale in Cooperazione allo sviluppo Esperienze lavorative 2024 - Scrittrice di critica cinematografica per il blog online Odeon 2023 - Scrittrice di critica cinematografica per il blog online I-Films 2022/2023 - Scrittrice di critica cinematografica per il blog online Long Take Premiazioni Vincitrice del concorso di scrittura per la critica cinematografica over 30 indetto da Long Take Film Festival quinta edizione - 2023
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