No Other Land di Yuval Abraham, Basel Adra, Rachel Szor, Hamdan Ballal

di Giulia Pugliese

Sarebbe un’idiozia analizzare questo documentario come mero prodotto cinematografico, elogiandone la fotografia e le scelte registiche. No Other Land è forse l’ultimo atto di una storia che a breve non esisterà più, l’ultimo vagito della civiltà palestinese. È un documento importante, che diventerà ancora più rilevante alla fine di questa guerra. Il documentario, oltre a essere molto ben fatto, perché è una testimonianza molto ricca di spunti e unica, dà spazio anche a uno scavo sulla psicologia interiore dei personaggi.
Quello che si compie in quei territori è l’ingiustizia più grande del mondo, che si perpetua dalla nascita di Israele nel 1948, quando le Nazioni Unite hanno deciso di dividere i territori in 55% per lo Stato di Israele e in 45% per lo Stato Palestinese. Masafer Yatta è diventato il simbolo di un problema che riguarda tutta la Palestina, non solo la West Bank, ma anche Gaza ormai. Gaza è una striscia di territorio disgraziato che affaccia sul mare, dove pare però che tutti vogliano vivere. Il cinema mediorientale non è solo uno strumento di testimonianza, ma una vera e propria arma che viene usata per mettere in moto dei processi di cambiamento; un esempio evidente è il cinema iraniano. Anche se l’audience occidentale spesso è molto attento e premia questi prodotti, è più difficile che un documentario possa mettere in moto cambiamenti reali dall’alto.
Il film descrive perfettamente l’escalation che c’è da 40 anni in quei territori, partendo dalle lotte fatte dal padre di Bassel, per poi passare alla resistenza del figlio. In quei luoghi ormai sembra un gioco crudele quello di distruggere le case dei palestinesi, che poi vengono ricostruite di nascosto nella notte. La quotidianità della famiglia di Bassel, che è fatta anche da questo, risulta agghiacciante e intollerabile, anche per lui, che a tratti durante le riprese mostra segni di cedimento e depressione. La sua amicizia con Yuval fa sì che i due costruiscano il perfetto prodotto per l’Occidente: l’amicizia tra un ebreo e un palestinese. Mentre Yuval si prende le bordate degli abitanti del villaggio, che non gli perdonano di essere israeliano, e c’è chi teorizza che comunque debba essere visto come un rapporto tra un colono e un colonizzato, sono proprio queste banalizzazioni che il documentario vuole superare. È bene ricordarsi che la società israeliana è divisa e che moltissimi israeliani (comunque una minoranza) sono attivisti per i diritti dei palestinesi; queste persone non hanno vite facili e vivono da emarginate. Yuval ha comunque più possibilità di Bassel, avendo un passaporto, una casa che non gli verrà espropriata e dei diritti civili.

La risposta a tanta violenza e barbarie è continuare a riprendere e tentare di fare qualche manifestazione, ma purtroppo bisognerebbe dire ai palestinesi che ormai in Occidente la questione palestinese non suscita più nessuna indignazione. Le persone ancora scendono in piazza per loro, ma i governi occidentali continuano a vendere le armi agli israeliani. La società palestinese è divisa tra chi attua una forza di resistenza pacifica, descritta dal documentario, e chi, come Hamas, commette atti violenti, e nessuna delle due cose sta portando a niente. Di sicuro, però, non ci sarà nessun intervento divino dell’Occidente e, se nel 1997 bastava che Tony Blair venisse a passeggiare nel villaggio perché gli israeliani smettessero di fare gli espropri, ora nessun leader occidentale lo farà per paura della banderuola dell’antisemitismo.
Impossibile non criticare lo Stato di Israele e i suoi metodi, ma ancora più ipocriti siamo noi occidentali, che andiamo a riprendere il dolore di quelle persone e poi andiamo via, lasciandole al loro destino. Il film riesce a mettere bene a fuoco questo aspetto; tuttavia, i due protagonisti continuano a fare contenuti social e a sperare in una sorta di pressione dal basso delle società civili europee o americane. A breve lo Stato Palestinese non esisterà più. La violenza di Israele non è più contenibile, e quella che negli anni è stata vista come un rallentamento nei confronti di una pulizia etnica era solo una strategia di sfiancamento del nemico, perché l’opinione pubblica internazionale è totalmente disinteressata al problema. La domanda è: come farà Israele a sopravvivere senza un nemico interno? A quel punto, la nuova nazione di Israele che cosa troverà per rimanere unita?

Alla fine si esce dalla sala frastornati, colpevoli e vinti dal fatto che ormai è troppo tardi. Quello che si può fare è mantenersi consapevoli e vigili per non cadere nelle trappole dei media pro-israeliani, tentare di informarsi il più possibile, scendere in piazza e donare alle ONG che lavorano in quei territori. Sapendo che ogni sforzo è però ormai vano.

Informazioni su Giulia Pugliese 37 Articoli
Giulia Pugliese Scrittrice Educazione 2011 - Master in EUC Group & CEERNT European Project 2006/2010 - Laurea triennale in Cooperazione allo sviluppo Esperienze lavorative 2024 - Scrittrice di critica cinematografica per il blog online Odeon 2023 - Scrittrice di critica cinematografica per il blog online I-Films 2022/2023 - Scrittrice di critica cinematografica per il blog online Long Take Premiazioni Vincitrice del concorso di scrittura per la critica cinematografica over 30 indetto da Long Take Film Festival quinta edizione - 2023

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