di Pino Moroni
Visto in senso largo, L’abbaglio di Roberto Andò è un film risorgimentale con richiami ai più famosi 1860 di Alessandro Blasetti del 1934 e Viva l’Italia di Roberto Rossellini del 1961; con battaglie campali e barricadere, fucilazioni e distruzioni, colpi di baionetta e movimenti di popolo, accompagnati da canti patriottici e musiche rivoluzionarie, ma soprattutto tanta retorica nazionale che ha sostenuto e poi tenuto insieme l’Unità d’Italia per molto più di un secolo.
Un’Italia purtroppo attraversata da imbonitori di ogni specie in buona fede o meno (compreso Garibaldi, che sa di bleffare, come fa capire il film) e di disillusioni popolari sempre più cocenti nel tempo (la questione meridionale ancora irrisolta). In parole povere, in Sicilia (ed anche in Italia) non è cambiato molto perché nulla doveva cambiare (parafrasando Il Gattopardo).
Un abbaglio, insomma, dalle infinite interpretazioni filologiche e contenutistiche, che ancora non è finito, malgrado la evidente frantumazione di quella Unità, così faticosamente conquistata, con proiezioni centrifughe sempre più evidenti nel nostro futuro (le autonomie differenziate).
Abbaglio infatti è vedere quello che non è, vuol dire ingannare se stessi. Anche oggi, in un’epoca connotata da benessere e tecnologia (avere tutto materialmente anche senza dover pensare) l’unica speranza rimane quella di non perderli, anche a costo di perdere parti essenziali di sé (come la libertà) e parti d’Italia (da svendere a chi già le ha richieste).
Come si fa a parlare di Unità nell’inarrestabile individualismo?
Di questa prima parte epica c’è da ricordare la trepidante attesa dei garibaldini nelle barche per la partenza a Quarto, con i canti e l’entusiasmo di un ideale giusto, lo sbarco sanguinoso sulla spiaggia di Marsala, la fondamentale cruenta battaglia di Calatafimi, la scoperta delle parti più bucoliche e selvagge della Sicilia, le barricate sulla rocca di Corleone, l’aiuto umano e disinteressato dei paesani di Sambuco. Parti ad alto livello di immagine e di emozioni.
La “storia principale” intermedia è quel piccolo ma essenziale frammento di guerra dimenticato (ispirato dal racconto “Il silenzio” di Leonardo Sciascia (1960).