Note di un’americanista su Megalopolis di Francis Ford Coppola

di Marina Camboni

Pubblichiamo con grande piacere questo articolo di Marina Camboni, già Professoressa di Letteratura Anglo-Americana presso L’Università degli Studi di Macerata.

 “ Quo  usque  tandem  abutere,  Catilina,  patientia  nostra?” / “Fino a che punto, Catilina, approfitterai della nostra pazienza?” 

Questo l’incipit della prima orazione o discorso pronunciato da Marco Tullio Cicerone al Senato Romano nell’anno 63 a.C. Cicerone si rivolge direttamente all’uomo che sta per accusare di tradimento delle istituzioni della repubblica romana.
Più che questo incipit, famoso soprattutto per la sua forza oratoria e caro a storici e retori, la cultura diffusa ricorda quest’altra  apostrofe  con cui si apre il secondo paragrafo e che non solo ben illustra l’abilità oratoria di Cicerone, ma inquadra la sua arringa entro un tempo complicato e potenzialmente sovversivo delle istituzioni vigenti:
“O  tempora,  o  mores !” / “Questi i tempi! Questo il malcostume!”
A queste due citazioni da Cicerone aggiungerei una terza, questa volta popolare:
“Mala tempora currunt”/ “Corrono tempi brutti”.
Vi chiederete:
Perché inizio il racconto di un film del 2024 con una citazione in lingua latina e un autore classico? 
A mia volta chiedo:
Perché un regista italoamericano come Francis Ford Coppola usa questa e altre espressione ciceroniane nel suo Megalopolis, un film che lui stesso ha definito un “ peplum postmoderno”, di recente arrivato nelle sale cinematografiche italiane? E perché Coppola sceglie un momento critico della storia di Roma per radicarvi il suo racconto degli Stati  Uniti di oggi?  Perché la città in cui si svolge l’azione in un passato  futuribile si chiama New York-New Rome?  Perché i suoi personaggi, a partire dall’architetto-inventore protagonista Cesare-Catilina, hanno un doppio nome che manifestamente collega i  protagonisti e i drammatici tempi del passaggio dalla  Repubblica all’Impero romano alle origini della repubblica degli Stati Uniti  e i suoi artefici?


All’anno 63-64  a.C.  risale la congiura di Catilina e le celebri orazioni accusatorie  di Cicerone, allora Console e suo  diretto antagonista. Forse Coppola, come me,  ha letto SPQR della classicista inglese Mary Beard, un testo di storia dotto ma rivolto a un pubblico generale. Beard non solo considera il conflitto Catilina-Cicerone  rappresentativo di un momento nevralgico della storia di Roma, conclusosi con la fine della repubblica e la nascita dell’Impero, ma lo ritiene “un modello efficace per comprendere i fenomeni di disobbedienza civile e di insurrezione” non solo nella storia romana ma “in senso più generale”[1]. Nel film di Coppola New York-New-Rome è travolta dal populismo di Clodio.


Epperò, sebbene si concentrino sullo stesso torno di tempo, Beard e Coppola  traggono dai fatti  lezioni diverse. Mentre Beard si dimostra più erede di una tradizione puritana che distingue tra buoni e cattivi, l’italoamericano Coppola  non solo cerca di rappresentare la ricorsività e stratificazione  storica della situazione, ma presenta una visione complessa  e contraddittoria dell’individuo e della città. Cesare-Catilina è non solo architetto geniale, ma nel duplice nome rivela quello che gli storici da lungo tempo sostengono, ovvero che Cesare era nascostamente sostenitore  di Catilina e quindi di fatto compartecipe della congiura. Duplici, o molteplici, sono anche gli altri personaggi, uno dei quali, il ricchissimo Crasso-Hamilton accoppia l’antico romano a uno dei padri fondatori degli Stati Uniti. Non per altro questi, a partire da Jefferson, erano tutti grandi lettori dei classici, e ad Atene e a Roma fecero riferimento nella stesura della Costituzione della loro “città sulla collina”. Agli occhi di Coppola, gli Stati Uniti del “destino manifesto” reiterano e continuano una storia in cui, come ai tempi della Roma arcaica,  potere religioso e potere politico sono strettamente legati.
In una intervista pubblicata sul numero che Cahiers du cinema ha dedicato al film, Coppola riprende la non nuova idea che gli Stati Uniti siano “in qualche modo una versione moderna dell’impero romano, con un sistema politico paragonabile: un paese che respinge per primo la monarchia, l’importanza del senato e dei senatori, ecc.”. E lui fa un film “nel momento preciso in cui questo paese rischia di perdere la sua repubblica, e per le stesse ragioni di Roma”.
Da esperto cineasta, Coppola adotta vari registri rappresentativi, narrativi e formali mutuando dai film della Marvel, dai polpettoni anni cinquanta come dai film di fantascienza, oltre che dal cinema sperimentale europeo degli anni venti-trenta, e dall’architettura più o meno utopistica. La sua città evoca difatti la  modernista  Metropolis of Tomorrow immaginata nel 1929 dall’architetto newyorkese Hugh Ferriss, integrata dalle potenzialità delle nuove tecnologie informatiche e ispirata alla visionarietà di Frank Gehry.


Il  suo protagonista, Cesare-Catilina, architetto inventore del Megalon, lavora a un progetto di città futura  con edifici dalle forme spiraloidi e una viabilità fluida, una città a misura d’uomo. Nel presente del film però, New York-New Rome è fatta di case costruite da architetti disumanizzanti, con quartieri-alveare, che Caesare-Catilina vuol distruggere per far posto alla sua utopica città.  Coppola contrappone al palinsesto ripetitivo della storia passata e presente una visione  tecnologica e rigenerativa del processo storico. La sua città futura sta a rappresentare un umanesimo postmoderno in cui tecnologia e immaginazione, cultura e natura sono integrati.   
Ri-niziare daccapo. Un concetto non nuovo nella cultura statunitense e  nell’esperienza di un popolo di immigrati, ma anche un sogno antico come la storia occidentale.

Alcune scene del film

A monte del film di Coppola, e forse a rappresentare il punto di vista del regista, sembra esservi Solone e la sua  “μεγάλην πόλιν”, “Megalen polin”, la grande città di Atene di cui la dea protettrice Atena mai permetterà la distruzione. Nell’elegia conosciuta come Eunomia, difatti, Solone non solo distingueva fra buono e cattivo governo, ma prospettava una società giusta in cui sarebbero cessati i conflitti fra le classi sociali e le ricchezze sarebbero state equamente distribuite. Forse Coppola immagina come si può salvare la città-mondo? Certo sembra pensare che non il tempo ma lo spazio definirà  l’architettura politica e sociale della società futura, come pensano gli architetti italiani che hanno avanzato la proposta vincitrice per la ristrutturazione  del quartiere di SoHo a Manhattan. “Nel futuro, –  scrivono – l’architettura e la città non saranno più un luogo, ma una condizione di sostenibilità co-trasformativa e condivisa. Nell’era del crescente riscaldamento globale, della transizione ecologica ed energetica, l’architettura pone il progetto come punto di equilibrio fra una sempre più ampia interazione di saperi. La sostenibilità condurrà a nuove prospettive di rigenerazione urbana, intesa come rigenerazione sociale e dei modi di abitare, consumare e produrre, in un riverbero ampio delle innovazioni sul piano etico e politico del rapporto con le società”[2].
Viviamo in tempi in cui le pandemie viaggiano negli aerei della circolazione globale ricordandoci l’essenziale rapporto fra viventi e il continuum  che lega microrganismi elementari, animali non umani e umani. Queste connessioni non sono più occultabili né da sottovalutare. E le guerre che pensavamo relegate al passato, insieme alla violenza, all’insipienza dei politici, ai populismi manipolati, o alla sete di potenza imperiale e imperialista, richiedono oggi che poniamo alle arti creative di oggi e di ieri, domande diverse da quelle fatte da coloro che si occupavano di cultura angloamericana nel secondo dopoguerra, di cui la mia generazione è stata erede.
Perciò non possiamo non guardare un film o un’opera d’arte, o leggere un romanzo o una poesia  se non a partire dalle domande che oggi, noi spettatori e/o lettori e lettrici, ci facciamo sul nostro presente e futuro, su noi stessi, la società i suoi valori e ideali. Il cinema, come la letteratura, non solo narra con mezzi specifici ma interroga, rappresenta, rielabora, re-immagina la realtà  presente, proponendo interpretazioni e punti di vista originali. E spesso chiede aiuto ai classici, mitici o storici. Kaos, una serie Netflix, fa  a sua volta man bassa di personaggi e storie della mitologia greco-latina per, ancora una volta , raccontare e mettere sarcasticamente in luce il presente.
Se l’espressione  “O tempora o mores” – e non solo le didascalie presentate come iscrizioni epigrafiche – ricorre nel film di Coppola è perché corrono tempi cattivi e il regista vorrebbe non solo fissare in immagini un tempo disastrato ma fermare il tempo storico per recuperare un rapporto con la natura, con la creatività e con la vita e riniziare daccapo facendo vincere l’amore, la maternità, la bambina.


[1] Mary Beard, SPQR, Milano, Mondadori 2016, p. 35.

[2] Renzo Lecardane, Zeila Tesoriere, Bianca Andaloro “FLUX CITY HOUSE: re-immaginare il futuro di Manhattan¹. La centralità del programma nel progetto di New York 2030-2050-2100”. BLOOM (34), 6-21.p. 7. https://iris.unipa.it/handle/10447/596853.

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