di Giulia Pugliese
Questo film francese risulta avvincente e simpatico per diverse componenti e toni che riesce a raggiungere. Infatti, è una commedia abbastanza leggera e di buoni sentimenti; tuttavia, riesce sia a toccare il cuore dello spettatore con la storia di due fratelli diversi ma uguali, sia a far riflettere sulle disuguaglianze sociali e sulla situazione della provincia nella società francese.
Thibaut (Benjamin Lavernhe), giovane direttore d’orchestra dalla vita agiata, viene a sapere di essere stato adottato dalla sua famiglia e di avere un fratello, Jimmy (Pierre Lottin), che lavora come ausiliare nella mensa di un paesino nel nord della Francia. I due uomini si interrogano sul loro destino: uno è finito in una famiglia benestante di Parigi, che gli ha permesso di studiare musica e seguire i suoi sogni; l’altro è invece cresciuto in un paese di minatori, in un contesto proletario che sembra uscito da un film di Ken Loach, con poche possibilità. I due sembrano apparentemente molto distanti, ma scopriranno che la passione per la musica che li accomuna può aiutarli a ricostruire un rapporto. In qualche modo, i due si influenzeranno positivamente: Thibaut aiuterà Jimmy con la banda del paese, mentre Jimmy regalerà qualche lezione di vita reale al fratello. Basato sulla tensione emotiva legata alla malattia di Thibaut, il film riesce tuttavia a parlare di una comunità solidale e a mettere gli svantaggiati al centro, come persone e personaggi propositivi, da non compatire e non vittime di un sistema.
La musica diventa il collante della creazione di un rapporto fraterno adulto ed è elemento catartico per lo spettatore: porta piacevolezza e dà una connotazione chiara alla storia. Assieme a Thibaut e Jimmy, tanti personaggi secondari – un po’ bizzarri, un po’ divertenti e un po’ commoventi – danno una coralità al film. Durante la visione si crea una reale empatia con i personaggi e con il messaggio di universalità dell’arte, che non dovrebbe essere per un’élite di pochi privilegiati, ma per tutti. Il film riesce per il messaggio e per la caratterizzazione dei personaggi, non troppo stereotipata, e inoltre unisce il registro aulico della musica classica a momenti genuinamente divertenti e tragici, in modo fluido e non forzato. La vita, che sia un direttore d’orchestra, un ausiliare della mensa o un operaio, è più bella se si hanno delle passioni e qualcuno con cui condividerle. La malattia di Thibaut diventa secondaria rispetto all’impossibilità di Jimmy di uscire da un contesto rurale e povero, anche culturalmente, (anche se ci proverà, il che lo porterà a chiudersi verso la musica e verso il fratello) tanto più che quel contesto è indebolito dalla chiusura della miniera. La musica e l’arte in generale diventano una possibilità di riscatto, anche per chi non è un professionista. L’opera riesce a essere una sintesi tra Goodbye Mr. Holland e i film di Ken Loach.
Il finale, un po’ troppo melenso, non toglie nulla a un film che riesce ed è molte cose: un dramma familiare su cui si riesce anche a sorridere, una denuncia sociale contro il sistema francese – dove i servizi e le possibilità non arrivano ovunque, creando disuguaglianze – e un inno alle cose belle della vita, come l’arte, la musica, l’amicizia, il condividere e il lottare. Un film che rincuora sul mondo senza però mostrarcelo troppo rosa, dicendoci che siamo sempre in tempo per migliorare la nostra vita e quella degli altri.