di Giulia Pugliese
“Non sminuire mai, in nessuna circostanza, un’opera letteraria cercando di trasformarla in una copia della vita reale, ciò che cerchiamo nella letteratura non è la realtà; ma l’epifania della verità” Leggere Lolita a Teheran
Nella vita ci sono degli incontri che ti cambiano. Quando ho letto Leggere Lolita a Teheran, questo libro mi ha cambiata, perché riesce a trasmettere sia la passione per la letteratura, sia la grande fragilità della società iraniana e il grande dolore che prova il suo popolo, non solo le donne. Erroneamente considerato un focus sulla questione delle donne a Teheran, il libro diventa altro, poiché parla di come l’idea unica di un regime entri nella testa delle persone e le renda incapaci di capire cosa sia giusto, cosa sia sbagliato e cosa sia bello e cosa sia brutto. La vita delle persone si sgretola e quello che rimane è un approssimativo seguire delle regole imposte dal proprio boia.
Quando ho letto il libro, ho subito pensato che una tale complessità non fosse possibile da portare sullo schermo e, infatti, il film risulta assolutamente minore rispetto al libro. Mette in scena alcuni degli eventi raccontati in questo, in maniera non cronologica, come nell’opera letteraria, ma trova espedienti di crudeltà. La parte delle carceri o gli arresti indugiano sul dolore delle protagoniste, che nel libro vengono solo accennati per non far sembrare queste delle vittime.
Azar Nafisi, interpretata da Golshifteh Farahani, viene rappresentata come una donna in balia degli eventi, quando invece nel libro era perfettamente in grado di analizzarli. Vengono tralasciati alcuni aneddoti che portano più angoscia (come la scomparsa temporanea del Mago) che brutalità, per mostrarne alcuni più eclatanti, come il ragazzo che si dà fuoco all’università, perdendo un punto di vista importante: il regime è come una goccia che riempie un vaso, non è un’alluvione. Il ticchettio che questo fa logora lentamente.Le studentesse che Azar Nafisi sceglie per farle venire a casa sua per studiare opere letterarie occidentali, in primis Lolita, hanno ognuna una storia e uno spessore psicologico che viene ridotto a poche scene. Risulta anche ridicolo che, nel tentativo di mettere in mostra i volti più conosciuti delle attrici iraniane come Zahra Amir Ebrahimi, già protagonista in Tatami e giornalista in Holy Spider, e Mira Karavani, già vista in Gli orsi non esistono, queste siano coetanee della protagonista, mentre dovrebbero essere molto più giovani di lei. Anche il personaggio del marito e il Mago, che nel libro è particolarmente importante perché rappresenta un Iran diverso ma anche incapace di prendere qualsiasi decisione, sembrano quasi esterni alla narrazione e hanno poco spessore.
La regia è scolastica, incapace di uscire da scelte minimali e banali; la scenografia praticamente non c’è ed è un film girato solo in interni, la sceneggiatura ha giustamente rispettato il libro, senza riuscire a dare di più. Emerge un’opera sciatta e raffazzonata, con scelte discutibili come il finale o le litigate isteriche tra Azar e il marito, che non riesce a cogliere né l’ambientazione né l’anima del libro. I pochissimi echi a questo sono le scene dove le ragazze corrono a casa della scrittrice per fare lezione e la scena del ballo.
Il film dovrebbe essere giudicato per quello che è, senza essere accostato al libro; tuttavia, se questo non ci fosse, l’opera denota davvero poco spessore e la cosa migliore è l’interpretazione delle grandi attrici iraniane. Eran Riklis non riesce a trovare la forza che era riuscito a mettere nei suoi personaggi femminili in La sposa siriana e nel Giardino dei limoni, dove creava eroine ricche di spessore ed empatiche che lottano contro la società. L’opera sembra girata velocemente, come se ci fosse l’esigenza di cavalcare il grande interesse che il pubblico ha nei confronti dell’Iran, ma rischia di minimizzare molte cose.Leggere Lolita a Teheran risulta fuori fuoco, poco incisivo e un prodotto per tutti, o forse per troppi. Bisognava prendersi del tempo per fare una trasposizione meno letterale del romanzo e creare un’opera più alta e più curata. Sembra la brutta copia araba di Piccole donne o, peggio, Mona Lisa Smile, introducendo dettami americani in un prodotto che dovrebbe essere squisitamente iraniano. Dobbiamo smettere di brandizzare la protesta delle donne iraniane (nel finale c’è Golshifteh Farahani che canta coi Coldplay). Inoltre, i prodotti dall’Iran hanno sempre un livello alto per messa in scena, intensità e tematiche; perché non dare la possibilità a un regista iraniano di mettere in scena un’opera così importante per il paese? Due consigli: leggete il libro, non guardate il film e, se volete vedere un film iraniano che parla di donne, andate a vedere Shahed – La testimone.