Da poco più di un settimana si è chiusa la XII edizione del Festival del Cinema Polacco. Riportiamo questa interessante intervista di Emanuele Bucci al regista Jan Komasa, che ha presentato The Hater (2020), film purtroppo molto attuale, che ruota attorno alla figura di un Hater, e su cosa lo ha portato a diventarlo.
la Redazione
«Viviamo in un’epoca di hater», afferma, intervistato da Ciak, il regista polacco Jan Komasa, ospite al XII CiakPolska Film Festival di Roma. «Il loro impatto è enorme e non si ferma. Anzi è aumentato. E credo che questo sia solo l’inizio. È stimolante dal punto di vista artistico, ma ovviamente terrificante guardandolo come cittadino. Spero solo che riuscirò a continuare a fare film, e che non vengano un giorno a cercarmi. Spero non si arrivi a quel punto».
Già, perché degli odiatori (virtuali e non solo) di oggi il cineasta ha parlato nel suo lungometraggio del 2020 The Hater (film d’apertura a CiakPolska, e disponibile su Netflix), cogliendo (se non anticipando) le derive di questi ultimi anni. «Penso che certi elementi si siano intensificati. Il film è stato girato nel 2018, vedevo che si discuteva molto di immigrazione, identità, anche di genere. E in The Hater ho accresciuto tutto questo. Alcune cose, purtroppo, sono diventate realtà. Alcune si sono aggravate e continuano a farlo, vedremo questo dove ci porterà».
Le prospettive, comunque, non sembrano rosee: «Pensavamo che forse internet ci avrebbe salvato, mentre ha dato ai regimi autoritari, e a chiunque, un’arma che all’improvviso è diventata la nostra prigione. La rete ha contribuito a portare speranza e a connettere le ribellioni e le opposizioni democratiche, facendoci sentire più vicini anche ad angoli diversi del mondo. Ma i dittatori hanno imparato a usarla per avere maggior potere su di noi. Fukuyama parlava di fine della Storia, ma non c’è nessuna fine della Storia, nessuno ci crede più. Tutto questo mi ha fornito materiale. Come regista il mio lavoro è semplicemente prendere questo materiale e offrirne una rappresentazione che informi e stimoli la discussione».
Nel caso di The Hater, la riflessione è anche sull’ambiguità dell’animo umano, ben esemplificata dal protagonista Tomasz “Tomek” (Maciej Musiałowski), che si trova a lavorare nello stesso tempo per lo staff di un politico e per un’azienda impegnata a screditarlo con ogni mezzo offerto dal web. Una duplicità che ci ricorda il precedente film di Komasa, Corpus Christi (2019, candidato all’Oscar), dove un giovane in libertà vigilata dal riformatorio si finge sacerdote in un villaggio rurale. «Mi interessano gli esseri umani, e soprattutto ciò che nel loro intimo sono capaci di fare».
Per spiegarci meglio cosa intende, racconta un aneddoto risalente agli anni ’80, quando frequentava la scuola materna: «Tutti erano appassionati dei modellini Matchbox. Tutti volevano quelle macchinine, e un’altra cosa super-attraente era il loro piccolo catalogo bimestrale. Un giorno un ragazzino, non ricordo chi, portò questo catalogo. Era nuovo, e lo volevo davvero tanto. Mentre lui era distratto, glielo presi. Lo nascosi sotto il cuscino. Lui si mise a cercarlo, e non potevo smettere di guardare, affascinato, perché sapevo cosa stava cercando e sapevo dov’era. Lui stava quasi per piangere, e mi misi ad aiutarlo. Lo stavo aiutando a cercarlo, anche se sapevo che si trovava sotto il mio cuscino. È stata una scoperta su me stesso, su cosa fossi capace di fare. Come essere umano, sono capace di cambiare volto, e di mentire».
Alcune immagini del film
«Quest’ambiguità», prosegue, «può produrre differenti identità. Per questo ritengo la menzogna una delle cose più affascinanti al cinema, perché so che abbiamo questo superpotere, la capacità di mentire. A volte la bugia può diventare un dono per la comunità, come in Corpus Christi, perché in quel caso il personaggio mente, ma fa delle cose positive per gli altri, rivelandosi migliore di altri che non mentono. Altre volte, come in The Hater, il bugiardo arreca invece molta sofferenza a chi gli sta intorno».
Non per nulla, è il genere dei chiaroscuri morali per eccellenza, il noir (e neo-noir), ad aver ispirato per The Hater Komasa, che cita tra gli altri Il talento di Mr. Ripley («Per questo il protagonista si chiama Tomek, è un rimando a Tom Ripley») e Lo sciacallo – Nightcrawler, ma anche David Fincher («Amo ciò che sta facendo col noir, perché lui è il noir contemporaneo, la nuova versione di Hitchcock, in un certo senso») e Taxi Driver di Martin Scorsese. «C’è una curiosa analogia con The Hater: i lavori dei rispettivi protagonisti sono molto diversi, ma per certi versi si equivalgono, perché il tassista, guidando la sua auto di notte, vede tutto lo sporco e il marcio della New York degli anni ’70. E vede, soprattutto, ciò che le persone tentano di nascondere. Lo stesso vale per il personaggio di The Hater».
Ma quali sono i nuovi progetti del regista? «Sto finendo Good Boy, un film polacco-britannico», prodotto Jerzy Skolimowski, Ewa Piaskowska e Jeremy Thomas, interpretato da Stephen Graham e Andrea Riseborough. «La sceneggiatura è polacca, ma è girato tra Gran Bretagna e Varsavia. È molto provocatorio. Ci stiamo occupando delle musiche e del colore, sarà pronto per marzo. Poi ho terminato un film hollywoodiano, Anniversary. I produttori, Nick Wechsler e Steve Schwartz, sono quelli di Requiem for a Dream, The Road e Under the Skin, perciò l’ho fatto: li amo totalmente. Ho lavorato con la sceneggiatrice Lori Rosene-Gambino, che ha preso la mia idea e il trattamento facendone un bello script. È un film molto politico, alla base c’è una riunione di famiglia che avviene ogni anno nella stessa casa per cinque anni. E vediamo che qualcosa cambia nella società. Sta arrivando un nuovo sistema. Antidemocratico, ma non di destra o di sinistra. Qualcosa di nuovo. Il film è pronto, spero esca a breve».