In genere non pubblichiamo due recensioni dello stesso film, ma in questo caso ci è sembrato interessante mettere a confronto il pensiero di due generazioni diverse.
la Redazione
di Tano Pirrone
Scorro il web, dopo aver visto ieri sera l’ottimo film di Andrea Segre, pensando di leggerne la critica, invece lo trovo tutto rimpinzato di notizie (scusate: news!) e commenti sul film che narra di Berlinguer, dell’Italia e della nostra sorte con perizia e passione; le due cose possono benissimo coesistere, dovrebbero, anzi, ma spesso la passione crede che questa basti, arroventando il filo del racconto al calor bianco, ed invece no, puoi bruciare anche come un bonzo dei tempi andati, ma lasciare solo un piccolo trascurabile tremito istantaneo nell’occhio destro dell’astante.
Andrea Segre ha un curriculum di tutto rispetto che a partire dal bellissimo Io sono Li ci porta fra film e documentari al film di cui parliamo, che ha avuto giustamente fortuna alla recentissima Festa di Roma e replicato quello dello scorso anno di Paola Cortellesi C’è ancora domani: questo doppio successo sembra confermare il ritorno di certo cinema nostrano, popolare ma di alto livello artistico, politico ed etico, fornendo a cittadine e cittadini di buona volontà – e non disattenti – spettacolo di primo livello e possibilità di riflessione storica e sociale.
Infatti il film, con pochissime non decisive soste nella tensione ed appena un accenno alla chimera del didascalismo, fa rivivere con verosimiglianza, ricorrendo anche a molti filmati di repertorio, la maturazione da parte del grande uomo politico a capo del maggior partito comunista dello schieramento occidentale, l’indispensabile distacco (non certo incruento) dalla matrice sovietica e la faticosa maturazione gramsciana di un partito democratico, socialista, inserito a pieno titolo nel grande storico campo occidentale delle libertà e dei diritti umani. Egli provò, insomma, ad attuare il passaggio ad una socialdemocrazia europea, occidentale, anche come necessario definitivo superamento – pur lento e sofferto – dei legacci feudali, colonialisti e fascisti di questa perdutissima terra nostra.
Berlinguer pagò la sua passione umana e politica con la vita. Dopo non molto tempo il comunismo avrebbe seppellito sé stesso, partorendo la particolare orrenda forma della democratura, termine con cui si intende un velo, un’apparenza ingannevole di alcune proprietà delle democrazie a coprire il polso fermo, autoritario, paternalistico e di ferreo controllo che ha portato, tanto per fare un esempio, patron Putin a controllare la Russia e gli attuali satelliti per circa un quarto di secolo.
Berlinguer voleva ben altro e noi con lui; questo giustifica gli occhi lucidi di alcuni vecchi compagni (pochi, in verità) ieri sera al cinema Mignon.
Buono, per quanto si possa fare, il confronto continuo con i giovani e la narrazione dell’accerchiamento che le sue idee, il successo del Pci e solo l’idea del Compromesso storico ebbero da tutti i lati dello schieramento: Usa, Russia, Vaticano e grande industria.
Berlinguer e Moro
Dopo di lui e dopo la scissione della Bolognina, l’eclisse berlusconiana e l’odierno Grand Guignol del becero qualunquismo odierno.
Berlinguer ti voglio bene!
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