di Giulia Pugliese
Tra i numerosi film che trattano il razzismo sistemico negli Stati Uniti, Nickel Boys ha ancora qualcosa di nuovo da dire, soprattutto per il modo in cui affronta il problema, grazie alle sue invenzioni registiche che lo rendono diverso da altre opere.
Basato su una storia vera, raccontata nel romanzo I ragazzi della Nickel di Colson Whitehead, il film parla del riformatorio Nickel, dove vigeva la segregazione razziale. I bianchi vivevano in una sorta di accademia, mentre le persone di colore e le minoranze erano sottoposte a violenze e costrette a svolgere lavori non retribuiti, in una sorta di “seconda schiavitù”. La storia è raccontata con una certa poesia, resa visibile attraverso l’amicizia, l’amore della nonna di Elwood (interpretata dalla meravigliosa Aunjanue Ellis-Taylor) e la natura. Accanto a questi elementi, però, il film inserisce anche una buona dose di brutalità, evidenziata dalla violenza gratuita dei secondini, tra cui spicca Hamish Linklater, ormai specializzato in ruoli da carnefice o da interprete di personaggi horror. Le crudeltà dei secondini non sono meno feroci della violenza e segregazione sistemica del sistema giudiziario, lavorativo e sociale degli Stati Uniti negli anni ’60. L’abolizione della schiavitù, avvenuta nel 1865, non ha portato a un sistema che permetta agli afroamericani di accedere a un lavoro, un’istruzione e parità di diritti. La violenza fisica, però, non ci viene mostrata in modo esplicito, quasi a tutela dei protagonisti e dello spettatore. Tuttavia, vi sono scene tensive e tristi come quella in cui Griff (Luke Tennie) si rende conto di non aver seguito gli ordini del secondino e si prepara a subire le conseguenze. Proprio in quel momento, si intravede una sorta di ribellione e di speranza per i ragazzi. Il punto non è tanto subire o non subire violenza, quanto vivere nella costante coercizione e paura, una condizione che probabilmente non era molto diversa da quella che vivevano gli afroamericani al di fuori dell’Istituto Nickel e che, forse, vivono ancora oggi.
Il film racconta la vita di Elwood, un ragazzo normale cresciuto con una nonna affettuosa e determinata a offrirgli una vita migliore della sua. A causa di un errore giudiziario, Elwood si ritrova a vivere un inferno, spesso citato nel film quando si parla di un luogo. Il regista, presentando il film in anteprima nazionale alla Festa del Cinema di Roma, ha dichiarato di voler far provare allo spettatore ciò che i protagonisti sentono, utilizzando la soggettiva per permettere al pubblico di vedere ciò che vedono Elwood (Ethan Herisse) e Turner (Brandon Wilson). Questo crea un gioco di mimesi che genera tensione e coinvolge emotivamente lo spettatore. Inoltre, la soggettiva sembra fondere le esperienze dei due ragazzi, quasi a suggerire che entrambi vivano la stessa oppressione. Questa ambivalenza permette di creare un racconto sia generazionale sia universale, nonostante la storia sia ambientata in un contesto e un periodo storico specifico. Non vedendo i volti dei personaggi, questi potrebbero rappresentare chiunque, persino noi stessi. L’uso dei materiali di repertorio non serve solo a fare riferimenti storici, ma anche a dimostrare che l’uomo può evolversi scientificamente, ma certi odi e certe paure rimarranno sempre parte della sua natura. Nelle parti che raccontano la vita adulta del protagonista, spesso lo vediamo di spalle, mentre legge articoli sulla Nickel. Anche qui, il volto del protagonista rimane nascosto, permettendo al pubblico di identificarlo con chiunque. Il film, giustamente, tocca anche il tema dell’elaborazione del lutto, non meno doloroso delle violenze subite. Con l’emergere delle notizie su ciò che accadeva nell’Istituto, il protagonista si trova a confrontarsi con il suo passato. Toccante è la scena in cui incontra uno degli ex reclusi in un bar.
Il finale, tuttavia, non riesce a raggiungere appieno l’intento emotivo desiderato e lascia lo spettatore in sospeso, non porta stupore, forse perchè il regista RaMell Ross vuole mettere alla prova lo spettatore e le sue doti d’investigate. Nickel Boys è un’operazione complessa e ben pensata, con un forte intento di creare empatia tra spettatore e protagonisti. Tuttavia, ci si affeziona ai personaggi, non solo per alcune scelte registiche, ma anche per una scrittura a tutto tondo. Risulta un’opera riuscita, che dimostra come ci sia ancora molto da dire su tematiche che potrebbero sembrare abusate o datate, ma che parlano dell’America di oggi e di storie umane il cui racconto è necessario.