La morte… a nessuno può sottrarre il tempo raggiunto. Wislawa Szymborska
di Letizia Piredda
Richiama per certi versi Aftersun, per il ritmo incalzante che guarda ora al passato ora al futuro seguendo il susseguirsi delle emozioni. Certo la tematica ci riporta al famoso Love story degli anni ’70, “amore significa non dover mai dire mi spiace”, ma con anni luce di distanza dalla retorica smielata di cui quel film si nutriva. Sì perché qui è la vita a prevalere in tutte le modalità, in tutte le dimensioni, in tutte le tonalità, con una freschezza e un’energia sostenute anche dalla eccezionale alchimia che da subito si è stabilita tra i due bravissimi attori, Andrew Garfield e Florence Pugh.
Una romcom atipica, fuori da qualsiasi regola, dove la drammaticità si coniuga con la comicità, dove tutto avviene con una rapidità, un’urgenza indescrivibile. Ce lo fa capire il regista quando afferma: “Mi piacciono le romcom dove l’amore è un effetto collaterale…”
E di tutte le scene la scena clou è quella del parto (ma non stavamo parlando di chemioterapia?) quella che rappresenta il tono del film con l’assurdità della situazione, le persone coinvolte, le diverse emozioni, il panico di Andrew che finisce col dire involontariamente delle battute comiche, il collegamento in videochiamata con il pronto soccorso.
Anche la Londra in cui è ambientato il film è autentica, reale, zone anonime, di passaggio, non la Notting Hill di oggi dove puoi vivere solo se sei milionario.
In ogni scena veniamo coinvolti e portati al clou di ogni situazione, ci troviamo sempre in medias res senza sentirci di troppo, neanche nelle scene più intime.
La retorica, il ripiegamento vengono lasciati fuori, alle Love story di ogni epoca. E un po’ anche al più recente Living (2022) di Oliver Hermanus, remake del film di Kurosawa Vivere(1952) che tenta un’operazione simile ma riuscendoci solo in parte.
Qui l’immediatezza si coniuga con un tempo dilatato: un tempo che scavalca il tempo. E in questo la musica svolge un ruolo portante mantenendo l’unicità del tono del film. C’è la suspence e c’è anche il fatto di sapere il dopo, ma è la prima che prevale: e mentre guardiamo la scena in cui Almut piroetta sul ghiaccio, con il marito e la figlia che la guardano ammirati, ci chiediamo come può finire un film così vitalizzante e drammatico allo stesso tempo: ecco che arriva un fading che pian piano scolorisce la scena fino a farla scomparire.