di Pino Moroni
The trainer, sceneggiato da Vito Schnabel, che è andato a risvegliare la creativa follia del regista Tony Kaye (uno dei più grandi registi di spot pubblicitari del mondo), è un film Helzapoppin, cioè a dire: teatro dell’assurdo al limite del nonsense; oggi accompagnato anche da tutta la tecnologia di immagini ed effetti speciali (di un gruppo interdisciplinare chiamato Blackball), ormai più che popolari per la cultura di massa: video-art, body-art, post-modern art, in senso lato.
Ed è un successo travolgente, zeppo di dialoghi sulle immagini psichedeliche ed ossessive che non danno tregua alla storia. Innovativo e profetico sotto la spinta come attore dello stesso vitalissimo Vito Schnabel (mercante d’arte, artista, figlio di Julian, noto pittore e regista e) e con la partecipazione di Tony Kaye nel ruolo di un urug (guru), che scambia il ruolo con il protagonista e, visto alla Festa del Cinema, è esattamente così: un allucinato santone pieno di capelli e barba lunghissimi, vestito solo di pelle grezza.
Ma in questo film visionario e bello visivamente non mancano nemmeno i contenuti, che sono poi anche loro molto attuali, se non futuribili. In questo mondo di manipolazioni e menzogne qual è la verità? Nell’epoca della civiltà delle immagini esiste solo l’ipocrisia dello showbiz per alimentare i consumi di cose inutili. E poi ancora il sogno americano (l’american dream), al quale non crede ormai più nessuno, ma realizzato dal cinema libero indi, tra il grottesco ed il surreale, assume un valore critico e liberatorio.