TRILOGIA DEI COLORI
Film Blu
di Giulia Pugliese
Julie: “Come conosce questa musica?” Suonatore di flauto: ”Mi piace suonare musica diversa, amo sognare”
Cos’è un lutto? Come si vive dentro al lutto? Cos’è la musica? Si può comunicare con questa?
Film Blu è scisso tra la tematica del lutto e la grande domanda se è possibile superarlo. L’altro tema è l’arte come strumento di unione, comunicazione dei sentimenti e del nostro essere.
In Film Blu, Kieśllowski entra nella mente di una donna che vuole annullarsi dopo un grave lutto familiare, ma che sarà riportata alla vita proprio dalla musica. Una seconda rinascita per Julie (Juliette Binoche), proprio come la prima, caratterizzata dal dolore per un allontanamento: il primo dal ventre materno, il secondo da una condizione familiare felice. Non è un caso che la protagonista spesso sia immersa nell’acqua, come se fosse liquido amniotico. Una donna distrutta che riesce a ricostruirsi, ricreandosi dei rapporti umani e superando il dramma: un nuovo amore, una nuova amica (la vicina di casa), la consapevolezza della verità e il dare valore a sé stessa.
Film Blu, oltre alla simbologia del colore, un blu metallico e artificiale che vira al nero, con la fotografia di Slawomir Idziak riesce a inserire il colore nella storia. Il blu rappresenta la malinconia, ma anche la calma, la tranquillità, la dedizione, il senso d’appartenenza e il bisogno di appagamento affettivo, tutte cose che la protagonista del film ricerca, anche se sostiene di no: “Adesso farò solo quello che voglio. Niente. Non voglio ricordi, cose, amici, amore. Sono tutte trappole”, dice a sua madre, interpretata da Emmanuelle Riva, che ha l’Alzheimer, creando una sorta di continuum spazio-temporale tra il suo personaggio di Hiroshima mon amour, anche esso alle prese con l’elaborazione di un lutto, e quello che interpreterà in Amour. Julie preferisce non notare la vecchina che prova a infilare la bottiglia nel bidone e rimanere ferma sotto il sole.
Il blu scuro significa anche indole affettiva e sensibilità per il valore dei sentimenti, cosa che Julie dimostra di avere nella composizione della musica e quando lascia la casa all’amante incinta del marito. Nel film troviamo anche un uso estremo dei dettagli: l’occhio di Julie, all’inizio e alla fine, la zolletta di zucchero, le dita sul pentagramma. Kieśllowski tenta di cogliere i piccoli dettagli della vita di Julie per farci vedere come pensa e cosa si muove in lei, mettendola in uno spazio fatto di ricordi: il lampadario blu della figlia, la caramella ritrovata nella borsa e le foto proiettate in televisione. Julie vive questi spazi e questi oggetti, anche se non vorrebbe. Anche la paura che prova rimanendo chiusa fuori di notte la fa tornare viva. Noi quasi vediamo quello che vede lei e sentiamo quello che sente lei; spesso, infatti, assumiamo la prospettiva della protagonista. Con queste strategie registiche, ne cogliamo la psicologia. Il film si divide in capitoli, con stacchi neri e musica catartica che fanno percepire una separazione. Ogni pezzo del film è uno step tra Julie e il suo nuovo essere, una nuova scoperta per lei e per noi. L’iper-dettaglio, paradossalmente, stoppa il ritmo creato dal cadenzamento degli intervalli.
La cinepresa è sempre molto vicina alla protagonista, anche qui per cogliere ogni suo stato d’animo, ma più lei esce dalla fase di lutto più la telecamera si allontana. Inoltre, più la telecamera è vicina, più c’è la presenza del colore blu e della musica, mentre quando si allontana, questi si affievoliscono.
L’uso del caso, che c’è sempre nei film di Kieślowski, qui viene visto come fato crudele, che strappa Julie alla sua vita felice. Tuttavia, le permette una nuova libertà e la possibilità di esprimersi attraverso la sua musica, senza l’ombra del marito, compositore più famoso, che aleggia su di lei. Il suo amante Olivier dice che non vuole l’aiuto di lei, perché vuole scrivere la sua musica. Lei gli dà ragione: se nella sua vita precedente Julie era felice, in questa è libera, ed è su questa vita che ci concentriamo. Questa sua libertà passa dal credere in sé stessa come donna, individuo e musicista. La musica, preponderante in tutto il film, diventa strumento di liberazione per Julie: finire la partitura del marito per riaffermare se stessa, rielaborare e allontanare il passato (in Senza fine invece il lutto porta al suicidio).
Kieślowski riesce, in questo film, a fare una critica al bigottismo di certi ambienti borghesi, affiancando la protagonista alla vicina di casa, che si prostituisce. Diventano amiche, perché Julie si rifiuta di omologarsi alla morale comune e di cacciarla dal palazzo. In lei prevale la comprensione per il prossimo e la volontà di non omologarsi al pensiero unico. Lucille (Charlotte Véry), allo stesso tempo, sembra non vergognarsi di quello che fa e non dare importanza a quello che pensano gli altri, a parte in un caso che si manifesterà nel film. È questo che Julie apprezza di lei. Nel 1993 il baluardo dell’Europa unita era visto come la possibilità della creazione di una società europea unita e migliore. Kieślowski propone di mettere al centro dell’esperienza europeista i valori della Rivoluzione francese: libertà, uguaglianza e fraternità. Un motto che può sembrare desueto, ipocrita, un po’ come i Dieci Comandamenti del Decalogo. Bisogna infatti partire da Julie, dal suo senso di solidarietà, dal suo altruismo e dalla sua sensibilità per costruire una nuova società europea basata su questi valori.
Nella sua trilogia, Kieślowski ci insegna a riconoscerci nell’altro, a metterci nei suoi panni, a superare le apparenze. Ci suggerisce di riuscire a superare le difficoltà e di continuare a vivere, perché la vita può sempre regalarci qualcosa, per quanto inaspettato. Come dice il giudice di Film Rosso: “Ho condannato perché non ero nella loro pelle, ma nella mia”