La doppia vita di Veronica
di Letizia Piredda
Soltanto un regista come Kieślowski poteva pensare una storia basata esclusivamente sulla sensibilità, sulla pura emozione, sull’insight: due donne hanno lo stesso corpo, la stessa voce, le stesse abitudini, l’unica cosa che le distingue è la lingua: il polacco e il francese. Il film ruota attorno a questo mistero: l’esistenza di un altro da te, uguale a te, e descrive il percorso che ognuna delle due fa per arrivare a percepire l’altra/uguale dentro di sé. L’esperimento di Kieślowski è senz’altro ardito, un caso estremo di quello che lui chiama vivere con attenzione: in un certo senso inverte il punto di vista di Buñuel in Quell’oscuro oggetto del desiderio, in cui uno stesso personaggio è interpretato da due attrici diverse, provocandone la dispersione. Qui c’è un percorso della soggettività in cui la storia di Weronika non è altro che un’anticipazione della storia di Veronique.
Il percorso delle due Veroniche è disseminato di segnali e di simboli all’interno di una comunicazione intermittente: uno di questi è il cerchio. Si tratta di un motivo che ricorre a più riprese nel film: entrambe le Veroniche possiedono una sfera trasparente, rotonda, attraverso cui osservano la realtà esterna deformandola, secondo la singolarità della loro visione. Ma il cerchio è anche l’elemento sensibile del loro incontro nella piazza di Cracovia: una scena spettacolare dove la macchina da presa compie un movimento circolare, riproducendo la traiettoria della retromarcia del pullman, e inquadrando Weronika, immobile in mezzo alla piazza, attraverso una soggettiva “irreale”, dato che Veronique non la sta guardando, ma è tutta presa a scattare fotografie.
Al centro del loro essere c’è la musica. Per Weronika la passione per il canto diventa un’esperienza radicale, quasi violenta, in cui concentra tutta l’energia irrazionale del suo animo, ed è come se lasciasse con il suo impeto una zona perturbata a prescindere dalla sua presenza concreta. Ed effettivamente il canto è il segno di un movimento d’onda che si propaga nel proprio essere e può venire ricevuto da una individualità affine.
Kieślowski si avvale della musica di Preisner nella potenza lirica del coro di Van Den Budenmayer, cantato da Weronika prima della morte e poi prolungato per tutta la durata del film, come traccia mnestica della sua esperienza.
Weronika ha una personalità esuberante e una capacità incredibile di assorbire il mondo: il segno più evidente di questa sua caratteristica è data dalla composizione della sequenza della sua morte dove intervengono tre soggettive: una prima della morte (un movimento della camera che finisce a piombo contro il pavimento), una al momento della morte (una carrellata a volo d’uccello sopra le teste del pubblico) e una dopo la morte (un’inquadratura dal basso, dal fondo della fossa in cui è sepolta Weronika). Una sequenza a dir poco stravolgente!
Veronique emerge da questo buco nero lasciato da Weronika e si rivelerà molto più terrestre, più riflessiva, più prudente di Weronika. Deciderà di abbandonare il canto e si muoverà su un registro totalmente diverso da quello impetuoso di Weronika. Veronique sente di essere incompleta, sente che qualcosa si è originato da un’altra parte e non riesce a trovare l’oggetto della sua ansia. Sarà Alexandre, il marionettista, che condurrà Veronique, manovrandola come una marionetta, attraverso un percorso cosciente, alla ricerca degli indizi che lentamente la porteranno a vedere Weronika, realizzando il controcampo dell’incontro.
E sarà proprio quando Veronique posa il suo sguardo sulla foto che ritrae Weronika nella piazza di Cracovia che si compie il senso del film: una soggettività formata dall’esistenza, anzi dalla somma esistenziale di due entità lontane e sconosciute.
Kieślowski aveva immaginato inizialmente di fare diciassette differenti versioni numerate del film, leggermente diverse una dall’altra, una per ogni sala cinematografica parigina in cui sarebbe uscito il film, ma il progetto è rimasto incompiuto per la ristrettezza dei tempi di produzione e l’eccessivo costo dell’operazione.
Ma l’ineffabile bellezza di questo film resta intatta a distanza di anni e, insieme, ci sembra che resti anche la sensazione che qualcosa ci sia sfuggito, o sia rimasto irraggiungibile, come sempre nei film di Kieślowski.