Appendice 1
La parola agli autori
Krzysztof Kieślowski e Krzysztof Piesiewicz
Libertà, uguaglianza, fraternità: due trappole e una speranza.
KRZYSZTOF PIESIEWICZ:
(…) Più volte abbiamo sottolineato che la libertà, intesa com’è oggi, è una trappola. Mentre la sovranità dell’individuo è qualcosa di diverso, ossia la possibilità di prendere sovranamente una decisione che riguarda il nostro destino, e ancor più quando si tratta di decisioni che ci portano a una certa dipendenza, dall’amore, dal lavoro, dalle passioni. Ma l’uomo vuole la sovranità, se prende decisioni responsabilmente, e anche se ci si imbatte in meccanismi che rendono dipendenti, facendo perdere la libertà, mi sembra che possa essere una perdita di libertà felice, se è decisa sovranamente.
Per l’uguaglianza è lo stesso discorso. Intesa come lo è generalmente, si tratta di una trappola perché è falsa. Non serve qui certo tornare indietro nella storia per vedere i danni prodotti da questa trappola. Il diritto sì, l’uguaglianza delle possibilità, ma non l’uguaglianza come qualcosa di programmato dall’alto, che deve esistere, perché è una falsità dal punto di vista della nostra biologia, mentre l’uguaglianza proclamata dall’alto è una violazione della dignità del singolo uomo.
La fraternità è quel terzo elemento a cui ci avviciniamo in fondo con ottimismo, che diamo come possibilità, forse un po’ idealisticamente, ma che cosa si può fare oggi, se non farsi carico di un sentimento come questo e portarlo avanti?
KRZYSZTOF KIESLOWSKI:
In Film Rosso ciò che per me è più riuscito, e di cui avevo più paura, è che nonostante questa complessità di cui stiamo parlando, tutto sembra assolutamente semplice e naturale, e in realtà non pone degli interrogativi. Siamo riusciti, non so nemmeno io come, a fare scaturire tutto ciò dal semplice racconto, senza dare un’impressione di supponenza, di falsa pretesa di dimostrare delle tesi filosofiche, ma al contrario facendo sì che fossero gli eventi stessi, il loro sviluppo, a dar vita a dei personaggi dai destini molto simili.
Io credo che esista qualcosa nell’aria, come una speciale trascrizione del tempo, un odore del tempo, che viene avvertito da persone diverse. Non molto tempo fa ho incontrato Jeremy Thomas, il produttore di Bertolucci, negli studi di Joinville dove Bertolucci stava finendo il suo Piccolo Buddha. Thomas mi ha detto: “Hai fatto un film sulla stessa cosa di cui abbiamo parlato noi”. “Che significa?”, gli ho chiesto. “Noi abbiamo fatto un film sul buddhismo e anche tu ne hai fatto uno sul buddhismo.” “Io non ho fatto nessun film sul buddhismo”, ho replicato. “Non è vero, perché hai detto anche tu, come dice il buddhismo, che l’amore è la cosa più importante.” Allora penso: come succede che nel 1993 un italiano che lavora per un produttore inglese e un polacco che lavora per un produttore francese arrivino a pensare nello stesso tempo alla stessa cosa? Perché è importante, effettivamente, e tante persone nello stesso momento cominciano a rendersene conto.
Faccio un altro esempio. Siccome il mio interprete, Roman Gren, ama moltissimo una poetessa polacca che si chiama Wistawa Szymborska, ho comprato a Varsavia il suo ultimo libro per portarlo a Parigi e regalarglielo. Ma appena ho cominciato a leggerlo, ho deciso che non glielo darò mai, per via di una poesia, Amore a prima vista, scritta suppongo nel 1991 o 1992 (il volume è del 1993). Io non conosco personalmente la Szymborska, non so se abbia mai visto qualche mio film, sicuramente non la Trilogia, o almeno non ancora.
Eppure ecco cosa scrive:
Sono entrambi convinti
che fu un improvviso sentimento a unirli.
Com’è bella tanta certezza,
ma l’incertezza è ancor più bella.
Pensano che non conoscendosi prima,
nulla sia mai avvenuto tra loro.
Ma che diranno mai le strade, le scale, i corridoi
nei quali da tempo han potuto incrociarsi?
Vorrei chieder loro
se per caso ricordano —
forse una volta tra le porte girevoli
un faccia a faccia?
un qualche “scusi” nella calca?
l’eco di un “ha sbagliato” al telefono?
— ma conosco la risposta. No, non ricordano.
Grande sarebbe la sorpresa,
a saper che ormai da tempo li ha presi in giro il caso.
Pronto non era ancora
a mutar per loro in sorte,
li ha tenuti vicini e poi lontani,
gli ha sbarrato la strada
e soffocando il riso
con un salto si è fatto da parte.
Furono segni, segnali,
ben poco importa se oscuri.
Forse tre anni or sono
oppure il martedì recente
non volò via quella piccola foglia
di spalla in spalla?
Qualcosa venne perso
qualcosa raccolto.
Chissà se cominciò già
con la palla in quei cespugli d’infanzia?
Furono maniglie e campanelli,
su cui di buon’ora
il tocco si posò sul tocco.
Valigie appaiate nel deposito bagagli.
Fu forse un sogno uguale nella notte,
scomparso d’improvviso col risveglio.
Poiché ogni inizio
è solo un seguito
e il libro degli eventi
resta pur sempre a metà aperto.
È una poesia che parla esattamente di Film Rosso. Ed è la prova che due persone che non si conoscono, non hanno nulla a che fare l’una con l’altra, non esercitano nessuna influenza reciproca, sentono come importante nello stesso tempo una stessa cosa, pensano che la stessa cosa possa costituire l’oggetto di una poesia o di un film. Come questo succeda, non lo so.
Tratto da Passione Kieślowski, di Marina Fabbri. Edizioni Fahrenheit 451, 2016
Appendice 2
L’eredità di Kieślowski
di Giulia Pugliese
La Polonia è un paese dalla cinematografia prolifica e terra di grandi registi. Molti di questi sono espatriati e hanno trovato fortuna a Hollywood, come Roman Polanski e Jerzy Skolimowski oppure come Andrzej Wajda, che hanno fatto grandi film in patria e poi hanno anche lavorato in Francia come Krzysztof Kieślowski.
Sicuramente il regista polacco Tomasz Wasilewski, che al suo terzo film nel 2016 ha vinto l’Orso d’Argento a Berlino per The united states of love, Le donne e il desiderio in Italia, ha dato una prova eccellente di saper cogliere il testimone cinematografico di Kieślowski. Il film parla di quattro personaggi femminili che si sfiorano senza intrecciarsi e che suggeriscono una connessione ai temi del doppio e dell’incomunicabilità tra gli individui, temi sottesi a La doppia vita di Veronica e alla Trilogia dei colori. E proprio in omaggio alla Trilogia il b/n del film ogni tanto viene macchiato dall’azzurro di un maglione, dal fucsia delle cuffiette da piscina, o dal verde della tonaca sacerdotale.
Oggi, il cinema polacco sembra essere un po’ in sordina, forse surclassato da cinematografie più “di grido” e al passo coi tempi, come quella rumena o la new wave greca.
Tuttavia, tra il 2019, il 2020 e il 2021, alla Mostra del Cinema di Venezia, erano presenti ben tre film con forti echi kieślowskiani: Corpus Christi di Jan Komasa, Non cadrà più la neve di Małgorzata Szumowska e No Leave Traces di Jan P. Matuszyński.
Corpus Christi è il film tra questi più palesemente ispirato alla cinematografia di Kieślowski: la commistione tra sacro e profano, l’uso del colore, gli elementi casuali e il finale aperto lo avvicinano molto a un film di Kieślowski. Un’opera che pone interrogativi sulla moralità, sui precetti religiosi della chiesa cattolica polacca, e che mette in scena una sorta di predestinazione o casualità che porta Daniel (Bartosz Bielenia), giovane ex detenuto e protagonista del film, a prendere le vesti di prete, senza aver compiuto il sacerdozio. Daniel diventa così un elemento di rifondazione di una piccola comunità, investita da un trauma collettivo. Il film, come nel Decalogo, si interroga se abbia ancora senso seguire alla lettera i precetti religiosi e morali tourt court o se, invece, sia meglio credere nell’essere umano, anche se peccatore o addirittura criminale. Riprende inoltre la poetica della trilogia dei Tre colori, affrontando il tema del lutto e interrogandosi su che tipo di società la Polonia voglia costruire.
Non cadrà più la neve ci mostra la nuova borghesia polacca, che non vive più nei grandi alveari sovietici, ma in carine case a schiera tutte uguali. Nei palazzoni, che abbiamo visto nel Decalogo, adesso vivono i nuovi poveri, come Zenia (Alec Utgoff), un massaggiatore ucraino che pratica a domicilio. Non ci sono più i dogmi morali kieślowskiani, ma un benessere fittizio e superficiale che alimenta rivalità tra vicini. Le vetrate e gli ambienti domestici tanto cari a Kieślowski rivivono in questo film, rinnovati ma con la stessa intenzione di immergersi nella vita degli altri. Tuttavia, oltre la coltre di apparenze, Zenia riesce a far emergere in questi borghesi piccoli piccoli sentimenti umani ed esistenzialisti, tra la magia de La doppia vita di Veronica e gli intrecci corali e il misticismo del Decalogo.
No Leave Traces sarebbe forse il film che Kieślowski avrebbe voluto fare, se la censura sovietica non glielo avesse impedito. Il film, accanto a una storia personale di scelte morali, descrive il potere del regime, pronto a tutto, e l’ascesa di Solidarnosc. Anche l’uso del colore è molto kieślowskiano e il tema del caso e della scelta risuonano forti.
Nel 2024, sempre alla Mostra del Cinema, il film vincitore della sezione Orizzonti, L’anno che non venne mai di Bogdan Mureşanu, opera rumena sulla caduta di Ceaușescu, porta in sé elementi kieślowskiani: la casualità che investe i personaggi, i quali si ritrovano coinvolti nella Storia, incontrandosi e scontrandosi tra loro. Il film prova anche a far sorridere in situazioni complesse, un po’ come faceva Kieślowski in Film Bianco e ne Il Cineamatore. I personaggi rappresentano lo strato sociale della Romania, con ambientazioni popolari che ricordano apertamente il Decalogo, e lo scoppio della rivoluzione diventa l’elemento di rottura che giunge per caso. Come nel Decalogo, i protagonisti sono soggetti a scelte morali e a pressioni sociali, legate al regime, ma non così diverse da quelle dello sceneggiato polacco.
A quasi 30 anni dalla sua morte, Kieślowski continua a ispirare il cinema dell’ est europeo. I suoi temi esistenziali sono ancora presenti e vengono riproposti da cineasti che li mettono in scena, parlando di società che continuano a lottare contro il loro passato, contro il totalitarismo e contro i nuovi regimi sovranisti.
BIBLIOGRAFIA
La doppia vita di Krzysztof Kieślowski. A cura di Bruno Fornara. Feltrinelli, 2007
Passione Kieślowski, di Marina Fabbri. Edizioni Fahrenheit 451, 2016
Serafino Murri. Krzysztof Kieślowski. Il Castoro Cinema, 2002