SPECIALE KIESLOWSKI#3

Il cineamatore

di Martina Cossia Castiglioni

Un uomo, solo in casa, prende una telecamera, la carica, guarda nell’obiettivo, poi lentamente la gira verso sé stesso, quasi come un’arma, per riprendersi mentre racconta la propria storia. Lo schermo diventa nero, scorrono i titoli di coda, ma sentiamo ancora il rumore della macchina da presa.
Si chiude così, con perfetta circolarità, Il cineamatore, prima vera opera di finzione di Krzysztof Kieślovski, realizzata nel 1979 dopo una vasta produzione documentaristica e alcune pellicole a cavallo tra fiction e documentario.
Filip Mosz (il protagonista) è impiegato in un’azienda statale di Witowice, una cittadina nei pressi di Cracovia. Diventato padre, acquista una telecamera 8 mm per filmare, mese dopo mese, la crescita della figlia. Il suo direttore gli propone di girare un film durante il Giubileo che avrà luogo nella loro fabbrica, e Filip inizia ad appassionarsi a questo lavoro e a riprendere, come dirà a un collega, “tutto quello che si muove”. Fonda un circolo cinematografico all’interno dell’azienda e uno dei suoi cortometraggi viene presentato al Festival Nazionale del Film Amatoriale, dove vince il terzo premio. Uno dei suoi lavori arriva anche in televisione, e mentre la sua attività di regista ha sempre più successo, il suo matrimonio, invece, sembra andare a rotoli.

Girare è diventato per Filip un’ossessione. La realtà che lo circonda esiste ormai solo attraverso l’occhio della telecamera. La vita stessa dell’uomo coincide con quello che la cinepresa registra. Filip non può più fare a meno di girare, al punto che quando la moglie Irenka (che ha deciso di lasciarlo) si volta e gli dà le spalle per andarsene, lui mette le dita a quadrato simulando una macchina da presa, come per ‘riprendere’ persino quel momento.
Il cineamatore si apre con l’immagine drammatica di un rapace che plana su un gruppo di polli e ne uccide uno, strappandone poi col becco le penne candide. Questa scena è un probabile riferimento a Kes di Ken Loach, la storia dell’amicizia tra un ragazzo e il suo falchetto. Mentre Filip sfoglia le pagine di un libro di cinema, infatti, la telecamera di Kieslovski si sofferma su una foto tratta dal film del regista britannico. Nella sequenza successiva Irenka si sveglia di soprassalto a causa di un incubo: ha sognato un falco che uccideva un pulcino, racconta al marito.

Questa immagine di apertura è stata da molti interpretata come una metafora del disfacimento del matrimonio del protagonista (anche nel film di Ken Loach c’è una famiglia disgregata). Irenka si sente abbandonata dal marito non solo perché Filip è sempre meno presente per seguire la sua vocazione, ma soprattutto perché ha compreso che lui non desidera più le stesse cose che desidera lei. La quieta felicità familiare della vita di prima, all’uomo non basta più. Ciò che conta davvero è realizzare i suoi film.
Registrare con la cinepresa ciò che abbiamo davanti agli occhi, però, non è mai un atto neutrale. Nel fare un reportage sulla fabbrica di mattoni di Witowice, Filip ne mostra il retro fatiscente, finendo col mettere a rischio, seppur involontariamente, il lavoro di alcuni suoi colleghi.
In questo senso la pellicola di Kieślovski riflette l’atmosfera della Polonia di allora, dove l’apparato dello Stato sovvenzionava sì la cultura, ma per fini demagogici, operando un forte controllo sui contenuti dei prodotti artistici.
Il film si avvale dell’ottima interpretazione di Jerzy Stuhr (autore dei dialoghi insieme a Kieślowski), all’epoca poco più che trentenne. Scomparso il 9 luglio scorso all’età di 77 anni, il popolare attore polacco aveva iniziato a collaborare con Kieśowski nel 1976 con La cicatrice. Il loro sodalizio era proseguito con diverse pellicole (tra le quali Bianco), fino alla morte del regista.
Nel Cineamatore compaiono anche, nel ruolo di sé stessi, il regista Krzysztof Zanussi (uscito come Kieślovski dalla scuola di Lodz) e il documentarista Andrzej Jurga. Il primo accetta di presenziare alla proiezione di uno dei suoi film, Colori mimetici, nella sede del circolo creato da Filip nel cuore dell’azienda. Il secondo è un tramite tra il mondo del cinema amatoriale e la Televisione di Stato: grazie anche alla sua mediazione, un documentario di Filip su un collega disabile, Il lavoratore, viene trasmesso in tv.
Nel corso della pellicola il nostro protagonista si sposta spesso in treno, un mezzo di trasporto che è già di per sé metafora del cinema. Il paesaggio che scorre dal finestrino davanti agli occhi del viaggiatore, è come i 24 fotogrammi al secondo che in rapida successione creano l’illusione del movimento.


Il cineamatore è anche un grande omaggio al cinema. Oltre a essere senza dubbio la pellicola meno metafisica e più meta-cinematografica di Kieślovski. Nel finale Filip narra di nuovo la sua storia cominciando dalla notte delle doglie di Irenka, proprio come iniziava il film, dopo la sequenza del falchetto che uccide la gallina: l’identificazione tra lo sguardo di chi riprende e il soggetto/oggetto del materiale girato è ormai totale. Ma se Filip è cresciuto grazie alla mediazione del cinema, alla fine diventa più consapevole dei problemi che esso veicola. Il cinema è qualcosa che divora la tua vita, stravolgendola, e non basta puntare la cinepresa sul reale per filmare la verità: la verità ha molti volti e tutto dipende dal punto di vista da cui si guarda.


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MARTINA COSSIA CASTIGLIONI (1964) si è laureata in Lingue alla Statale di Milano. Dal 2001 al 2009 ha tenuto un rubrica dedicata ai libri per Milano Finanza e dal 2011 al 2016 è stata responsabile editoriale per Uroboros Edizioni. Appassionata di cinema, frequenta  i corsi di Longtake e ha iniziato da poco a scrivere di cinema in rete.
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