Il documentario
di Letizia Piredda e Giulia Pugliese
Anche se poco conosciuto il primo periodo della produzione filmica di Kieślowski ruota intorno al documentario.
Ma fin dall’inizio la sua idea di documentario si stacca nettamente da quella classica, intesa come semplice registrazione del reale e si svilupperà sulla base di una contraddizione: la registrazione del reale e l’interrogazione del reale. La registrazione del reale e l’inquietudine che si cela dietro di esso sono i due versanti che caratterizzano il documentarismo kieślowskiano: la registrazione e l’attesa, la ricerca del momento in cui la crosta del reale si incrina facendo emergere l’inatteso, il casuale, il sorprendente. Non si distanzia soltanto dal modello socialista polacco ma da qualsiasi riduzione unidimensionale della realtà (politica, tecnica, giuridica etc). Ed è in questa direzione che vanno i suoi primi documentari.
Due sono gli eventi che Kieślowski riesce a registrare su pellicola: il pianto di un uomo e la rottura di un grosso martello.
In La fotografia, 1968, il primo lavoro dopo l’uscita dalla scuola di Lòdz, Kieślowski gira per Varsavia alla ricerca di due uomini. Unica traccia, una fotografia che li ritrae bambini con elmetto e fucile, nel 1944. Kieślowski e la sua troupe riescono a trovare uno dei fratelli che però non ricorda nulla. Poi incontra l’altro fratello che quando vede la foto, scoppia in lacrime nel ricordare il giorno in cui fu scattata: quel giorno Varsavia veniva liberata e sua madre moriva.
La fotografia,1968
Nel 1976 passa tre mesi con la troupe in un ospedale. Vuole girare un film su un gruppo di persone che si unisce per portare aiuto a chi ne ha bisogno. Tre mesi di lavoro giorno e notte, di una troupe non piccola per ventun minuti di documentario, L’ospedale.
Durante i tre mesi di preparazione i medici gli raccontano moltissimi aneddoti. Uno su tutti davvero incredibile. Vent’anni prima un chirurgo aveva conficcato a colpi di martello un chiodo nella gamba di un malato e il martello si era rotto. Kieślowski decide di mettere questa storia nel film. Sistema la macchina da presa in sala operatoria e aspetta. Portano un malato, Kieślowski inizia a filmare, comincia l’operazione… e il martello ancora una volta si rompe davvero!!!
Kieślowski racconta che dopo questo episodio si è sentito amato dal mondo (da ciò che circola sotto la scorza del mondo) e riamato dal cinema. Un oggetto inanimato diventa il segnale di una profondità nascosta: perché proprio qui? Perché proprio adesso? Perché proprio a me e alla mia macchina da presa? In queste due occasioni Kieślowski raggiunge il suo scopo: registrare insieme il reale e l’inquietante che il reale può rivelare. Dove rivelare significa mostrare ma anche velare di nuovo dopo aver mostrato. L’evento viene da un altrove che sta oltre il mondo fisico, e oltre la fisica c’è la metafisica. Ma attenzione Kieślowski non attribuisce delle valenze religiose al termine metafisica, anche se molti le hanno considerate tali.
La sua concezione della metafisica è totalmente laica, ma indispensabile: secondo lui ci deve essere una qualche metafisica che sia operante nelle storie umane.
Dal cercare eventi al creare eventi
Dopo i primi documentari in cui Kieślowski è alla ricerca dell’evento, inizia una lunga fase di passaggio che gradualmente lo porta alla fiction: il fatto scatenante è legato all’esperienza drammatica occorsagli mentre girava Operai ’71, il suo film più politico: la polizia fa irruzione sul set e sequestra i giornalieri, per penalizzare gli operai che avevano aderito allo sciopero. Kieślowski non sopporta di recare danno a qualcuno e/o tantomeno di diventare suo malgrado un delatore. E questo lo porterà sempre di più verso la fiction. Ma il passaggio è lento e tortuoso. Sono tanti i documentari che gira in questa fase e in cui c’è un primo assaggio di fiction: da Il sottopassaggio (1973) a Il primo amore (1974), dal Curriculum vitae a Il personale (1975) fino a La tranquillità e La cicatrice (1976)
Curriculum vitae, 1975 – La tranquillità, 1976
Questi film si muovono sul filo di un cinema che è già finzione ma dove le situazioni vengono lasciate andare senza vincoli, mescolando la recitazione di attori professionisti e di persone che non sono attori, e accentuando la casualità delle riprese.
Un esempio di questi film che costituiscono una forma ibrida tra documentario e finzione è La tranquillità (1976), un mediometraggio fatto per la TV, emblematico per la difficoltà della vita nella Polonia di quegli anni. La storia è incentrata su un ex detenuto che esce di prigione e che cerca di ricostruirsi una vita fatta di cose minime: un lavoro, un posto per dormire, qualcosa da mangiare, una moglie, una TV e la pace.
Non è un film politico, ma per il solo fatto di aver mostrato uno sciopero è stato congelato per diversi anni. Scopo del film è quello di evidenziare il sistema sociale polacco e le sue carenze, dato che non ti permette di raggiungere quello che vuoi, perfino quando tutto quello che vuoi sono una TV e una moglie.
Il film fin dall’inizio gioca con una fotografia fatta di luci e ombre, infatti ha una spinta solare per la prima metà raccontando una storia di riscatto sociale, per poi diventare un incubo di sotterfugi, l’impossibilità di uscire da una situazione, in cui prevalgono le ombre e l’oscurità. Nel film per la prima volta, appare la prima delle immagini metafisiche care a Kieślowski: cavalli al galoppo sullo schermo di un televisore spento, cioè uno strumento di controllo delle masse ma anche un mezzo di produzione artistica. L’immagine di libertà è un tributo a un maestro del cinema polacco, Andrzej Wajda, a cui Kieślowski deve molto.
Con Il cineamatore (1979) Kieślowski approda al primo film di finzione: il film meno metafisico e più metacinematografico.
Tuttavia l’amore per il documentario prosegue anche dopo. Due sono i documentari di particolare interesse, Sette donne in età diversa (1978) e Le teste parlanti (1980).
Sette donne di età diversa, 1978 – Teste parlanti, 1979
Nel primo, i giorni della settimana scandiscono il ritratto di ballerine di diverse età: dai primi passi, all’esordio di un’adolescente, una ballerina in carriera, un’insegnante anziana.
Nel secondo vengono mostrati in rapida successione 79 volti, dai bambini fino ai vecchi, uno per ogni anno di età; a ogni testa vengono fatte tre domande: quando è nata, che mestiere fa, cosa desidera di più.
Ma più che documentari questi film sembrano schizzi, appunti per racconti: il passaggio alla fiction è ormai definitivo.