Destino cieco. L’uomo di Kieślowski tra teoria e realtà.
di Pino Moroni
Il primo piano della faccia di un uomo che apre la bocca ed emette un urlo lungo, angosciato. Witeck, l’interprete principale, che ha vissuto tre scorci di vita differenti, ora non può più far niente, senza futuro.
Un incipit che contiene tutta la condizione dell’Umanità. La brevità della vita, le scelte, le durezze, le delusioni di ognuna e soprattutto la perdita, di persone, sentimenti, valori ed infine della vita.
Crediamo nel Caso, perpetuo motore vitale, che regola le nostre azioni, quelle che pensiamo siano nelle nostre piene facoltà di scelta, di decisione, di finalità inconsistenti.
Ma quell’urlo sta a significare anche il fallimento personale, non di una vita ma di tre o anche di infinite possibilità di vivere, senza decidere mai il proprio destino. Kieślowski conosceva la teoria del Caos (caso fortuito) che regola tutto quello che avviene nel mondo. Ma era anche un pensatore raffinato, oltre le regole e le teorie. Un conoscitore profondo dell’animo umano, di tutte le sue paure, dubbi, ossessioni.
Noi esseri umani mettiamo sempre del nostro per accomodare le cose che ci sfuggono, ma alla fine, anche perdenti, abbiamo la grande capacità di consolarci con sogni e bugie, vivendo la stessa vita di tutti, come se fosse la giusta, la migliore. Giustificando sempre gli errori (anche senza colpa) che ogni uomo, ogni società, l’umanità in sé stessa, commette. Creiamo sempre degli alibi, che ci permettono di giustificarci. Cosa sono le celebrazioni se non una conseguenza dell’incapacità di questo essere imperfetto di gestire il destino personale e collettivo? Kieślowskij non perdona gli errori dell’uomo, né dell’Umanità tutta, ma sente una grande pietas per tutto quello che continuiamo a commettere ed a subire, travolti dalle nostre mancanze, accompagnate da un beffardo destino. Basta guardarsi intorno per capire quanto il grande regista avesse ragione. I delitti, le guerre, perfino la scienza manipolata, che ci può uccidere tutti. Che cosa sono, se poi si continua a perpetrarli (con incoscienza o per sconosciuta determinazione), generazione dopo generazione?
Alcuni flashback fotografano l’infanzia e la giovinezza del protagonista Witeck. I rapporti con il padre che non amava un figlio troppo bravo. E che, senza accorgersene, aveva bloccato il figlio con un dubbio incompiuto: Non dovresti…(cosa?). Un padre morto, senza che Witeck, forse dispiaciuto o solo indifferente, avrebbe potuto vedere per l’ultima volta, se fosse stato più presente. Una ragazza innamorata, con cui non era riuscito per timidezza e convenzioni sociali a fare l’amore a 17 anni. Una serie di occasioni perdute, tradimenti. Perché tutto questo?
All’Università di Lodz, dove sta studiando medicina ed è innamorato di una collega, all’improvviso, non si sa perché, Witeck sente che sta perdendo la vocazione. Ma che cos’è una vocazione se non un pensiero che va e viene secondo un impulso casuale? Witeck, travolto dai suoi dubbi o da una forza esterna che lo guida, decide di andare a Varsavia.
Il clou del film sono le tre corse al treno che Witeck compie, con tutti gli ostacoli che la vita mette davanti: la fila per il biglietto, il fischio della partenza, l’urto con una grassa signora che perde uno zloty, un ubriaco che beve sulla sua traiettoria, per raggiungere l’ultimo vagone del treno. Le tre rincorse di cui una vincente e le altre due fallite, sono l’apologo affannoso, angosciante, che Kieślowski vuol narrare, frutto della teoria della complessità o caso fortuito, per evidenziare meglio tre diversi modi di vivere la vita, di un uomo senza valore.
Alla luce delle illuminanti idee di Kieślowski, a cominciare dal titolo (Destino cieco), tutto quello che con il suo racconto riesce a farci pensare non è in fondo che un falso problema, una ipotesi basata su una teoria.
Ma chi è in realtà Witeck? Un uomo che vive tre storie, che rivelano sempre l’elogio, meglio la critica del conformismo! Non bisogna dimenticare che la Polonia in quel momento (il film girato nel 1981, bloccato dalla censura, uscirà solo nel 1987) sta vivendo momenti drammatici tra un vecchio potere poliziesco ed ottuso che si difende e gruppi di dissidenti che vorrebbero creare una nuova realtà (esempio il sindacato Solidarnosc). È il momento di pensare, cambiare, come è già cambiata una parte del mondo negli anni ’70.
In questo contesto storico, chi non ha carattere, chi non ha la capacità di gestire le situazioni che si vengono a creare, incapace di decidere come individuo pensante, come Witeck, un ignavo che in ogni vita si adegua al gruppo nel quale, per caso si viene a trovare. C’è sotto un discorso importante (che ha voluto lasciarci Kieślowski) di omologazione che influisce su tutte le nostre scelte (di ieri come di oggi). Altro che caso fortuito!
Nel film ci sono tre donne e tre storie d’amore che il protagonista fa fallire per inerzia. Ci sono tre gruppi frequentati dal protagonista. Quello di aderenti attivi del regime comunista polacco, quasi polizia politica, da cui Witeck si fa irretire, entra nei quadri e fa carriera (prima vita). Quello di dissidenti contrari al regime che cercano di scalzarlo, che Witeck, dopo essersi fatto anche cattolico, maldestramente tradisce (seconda vita). Ed infine quello costituito solo da famiglia e pochi intimi di lavoro, in un netto rifiuto di appartenenza. Un piccolo borghese che si taglia fuori da ogni impegno mentale e sociale, vivendo una vita mediocre, convenzionale oltre ogni limite (terza storia). In ognuna di queste storie di gruppi o di donne Witeck si dimostra passivo, incerto, inadeguato.
E se il padre avesse avuto ragione! “Non dovresti … essere così bravo”. Bravo, intelligente, benvoluto, amato non significa pensare, essere coerenti con sé stessi e prendere decisioni giuste. Witeck non è condizionato dal fato che ti fa perdere o no un treno. La sua rabbia espressa nell’urlo iniziale o finale (avviene su un aereo che sta per esplodere) è la rabbia di un uomo che sente tutto il fallimento della sua vita, sempre ondivago, inutile, condizionato, ‘senza mai esercitare il suo libero arbitrio’. Ecco perché con lui vince sempre il caso. Perché non sa dare nessun contributo nemmeno alla sua vita, né a quella degli altri.
Kieślowski è stato un regista che ha pensato sempre molto, oltre il pensiero imperante del momento storico. Ha voluto lasciare ed ha infatti lasciato una sua impronta nella storia del pensiero e del cinema e con i suoi messaggi è riuscito a segnare il mondo, anche futuro. Ecco perché è così grande.
Quanto è attuale Kieślowski!