di Letizia Piredda
Con questo film Amos Gitai vuole porre il quesito per eccellenza in un momento in cui siamo dilaniati da guerre che tendono ad espandersi e a moltiplicarsi, mentre le trattative di pace diventano sempre più fumose e inesistenti. A questo scopo riprende lo scambio epistolare tra Albert Einstein e Sigmund Freud, che nei primi anni ’30 furono invitati dalla Società delle Nazioni a riflettere e dialogare sul perché della guerra. Concepito proprio all’indomani dell’assalto di Hamas e della terribile offensiva israeliana, Why war tenta di stabilire un dialogo con la cruda realtà presente in Gaza, partendo dalla ferrea convinzione che anche il cinema può e deve influire cercando in tutti i modi di arrestare le atrocità della guerra.
Mescola consapevolmente i due linguaggi: il documentario e la fiction, tanto che non è stato facile decidere dove collocarlo, ma quello che conta è la riflessione e l’introspezione a cui sollecita ognuno di noi.
Alcune scene del film
Con Susan Sontag il regista si chiede come reagiamo noi al bollettino di guerra e alle scene di distruzione che immancabilmente la TV ci porta in casa ogni giorno. Cerchiamo di fare qualcosa? O ci rifugiamo nel nostro bozzolo, al sicuro nelle nostre case? Riporta l’accusa di Susan Sontag e Virginia Wolf che il genere maschile favorisce la violenza, mentre Einstein a suo tempo invocava un’autorità sovranazionale in grado di arrestare le guerre, e Freud affermava amaramente che Eros e Thanatos sono impulsi innati e strettamente collegati l’uno all’altro. Ma sono valide ancora oggi le posizioni di Freud e Einstein ?
Nella precedente opera Shikun (2024) quasi un’installazione artistica aveva rappresentato tutto lo sconcerto, il senso di smarrimento e di follia di fronte al conflitto israelo-palestinese, manifestando apertamente la sua posizione fortemente critica nei confronti del proprio governo. E ora con questo film in cui si mescolano documentario e finzione, dove non si vede mai la guerra, con le sue vittime e la sua distruzione, e la sua devastazione, si chiede e ci chiede coinvolgendoci con una forza straordinaria di riflettere, di andare a fondo, di mobilitarci, di essere presenti su questa realtà terribile che riguarda tutti, ognuno di noi.
“Non c’è niente da vincere, tranne la morte” aveva detto in un’intervista, e cosìcon artisti di cinema e di teatro che godono pienamente la sua stima, quali Irene Jacob, Mathieu Amalric, Micha Lescot e altri riesce ad attualizzare quel dibattito tra Einstein e Freud che risale a un secolo fa, ponendosi e ponendoci di nuovo di fronte a uno degli interrogativi più dilanianti che possano esistere per il genere umano: Why war?