Con molto piacere pubblichiamo l’articolo di Longtake scritto da Davide Stanzione su Richard Linklater, regista ancora poco conosciuto che ultimamente ci ha regalato un vero gioiello Hit-man (2024), con l’attore Glenn Powell e la sceneggiatura scritta in tandem da Linklater e Powell.
la Redazione
“Credevo ci fosse qualcos’altro”, sbotta l’Olivia Evans di Patricia Arquette, madre del protagonista Mason in Boyhood, nel momento in cui suo figlio abbandona il tetto materno per iniziare l’università. Una battuta che congeda il suo personaggio dal film nella maniera più prosaica e amara possibile e che appare però assai significativa per comprendere il rapporto speciale che Richard Linklater intrattiene con lo scorrere del tempo, come narratore e come cineasta. A interessare sopra ogni cosa il regista texano è infatti proprio l’immediatezza irripetibile dell’attimo, la preziosità di quegli istanti ordinari e universali di vita vissuta che riprodurre al cinema può sembrare ridondante o poco interessante (il “tutto qui?” della mamma di Mason), ma che nelle mani di Linklater si tramutano sempre in qualcosa di più, in istantanee di pura autenticità, capaci di simulare in maniera miracolosa e mimetica il flusso della vita, i suoi dimessi rapporti di causa-effetto, nonché la concatenazione spesso dolorosa, irrisolta e tutt’altro che sensata di eventi e stati d’animo.
Sì, non c’è davvero nient’altro, verrebbe da ribattere al personaggio della Arquette alla fine di Boyhood, film al quale Linklater affida la cristallizzazione definitiva del proprio manifesto poetico, approdando a un finale che celebra proprio l’attimo da cogliere ribaltandolo ed evidenziando il valore tutt’altro che banale o proverbiale del cosiddetto seize the moment. “Il tempo scorre davanti a noi!”, urla a squarciagola il nuovo coinquilino di Mason scrutando insieme ad un’altra ragazza un paesaggio naturale selvaggio e incontaminato, sottolineando nella maniera più eloquente possibile l’ebbrezza e l’impotenza che accompagnano a fasi alterne ognuno di noi durante le nostre vite, dettandone di volta in volta le ambizioni e le coordinate. Poco distante da i due personaggi c’è proprio Mason, il ragazzo che abbiamo visto crescere a vista d’occhio nell’arco di oltre 160’ e di dodici anni di riprese, con una ragazza appena conosciuta poco prima proprio grazie al suo nuovo compagno di stanza al college. “Tutti dicono che bisogna cogliere l’attimo, ma io penso che sia l’attimo a cogliere noi”, esordisce lei. “E’ vero, è una costante – ribatte Mason – l’attimo è come se fosse sempre adesso, no?”.
Quella di Linklater, chiaramente, è un’ode rovesciata al concetto di carpe diem: non siamo noi a dominare lo scorrere del tempo ma è il tempo stesso, nella sua implacabile puntualità, a investire e incasellare le nostre vite, costringendoci a “improvvisare” senza sapere nulla di definito, esattamente come ribadisce a Mason suo padre Mason senior (Ethan Hawke) poco prima. Lo stesso Mason non a caso è un fotografo in erba alla ricerca di segmenti di realtà da catturare, di oggetti e dettagli, sospeso, esattamente come Linklater quando si confronta direttamente col tempo nel suo cinema, tra studium e punctum, per dirla col Barthes de La camera chiara, tra rilevamento distaccato e netto della realtà – quasi chirurgico anche se sempre con grandissima umanità, in Boyhood – e le implicazioni emotive e sentimentali di questo gesto cinematografico fuori dal comune. E per Linklater, a pensarci bene, l’emozione coincide sempre con una condizione o un idillio che sfiorisce, con un riemergere da qualcosa per passare a qualcos’altro, spesso nuovo e indefinito.
Si pensi all’amore appena accarezzato di Prima dell’alba – film puntuale fin dal titolo – costretto a fare i conti col sopraggiungere di un nuovo giorno e a fare i conti con la realtà di un amore (forse) senza futuro, all’inizio del liceo imminente in La vita è un sogno, al sopraggiungere del college in Boyhood e all’inizio delle lezioni universitarie nell’ultimo Tutti vogliono qualcosa!!, dove un gruppo di giocatori di baseball se la spassano a partire dalle 72 ore che mancano all’inizio delle lezioni. Alla fine del film il protagonista chiude gli occhi accasciandosi sul proprio banco: ancora una volta il futuro non è scritto e non è dato saperlo, ma a contare è il presente assoluto della passione, di ciò che si appena vissuto o si sta vivendo, in istanti di vita che splendono e un attimo dopo sfioriscono. Ma senza alcun tipo di rimpianto, perché, come recita la scritta sulla lavagna nel finale di Tutti vogliono qualcosa!!, frontiers are where we find them e a contare sopra ogni cosa è la componente irripetibile dell’hic et nunc, un stupore che Linklater insegue nei suoi film con partecipe distacco, lavorando sul tempo come un artigiano paziente e accorto. E’ proprio questa premura a far sì che nei film di Linklater il tempo appaia spesso riprodotto dal vero, più che mimato attraverso delle coordinate cinematografiche tradizionali.
Accostando La vita è un sogno, Boyhood e Tutti vogliono qualcosa!!, in particolare, appare evidente uno slittamento programmatico che di volta in volta si affaccia su una fase leggermente più avanzata della vita (il liceo, la scelta del college come orizzonte decisivo, l’inizio delle lezioni), quasi a voler intavolare un discorso sul raggiungimento della maturità che tuttavia si chiude sempre un attimo prima dell’anno zero e della tappa raggiunta, preservando l’incanto irripetibile di un cinema meravigliosamente interessato al flusso, al processo, al divenire colto nel suo farsi, non certo ai postumi o alle conseguenze. Linklater è un cineasta speculativo, frontale, che usa la Storia come sfondo per le sue storie, che intendono sfiorare l’universale solo attraverso l’ordinario. Se in Boyhood i riferimenti a Bush prima e a Obama poi scandiscono il sottofondo di un’America che muta, in Tutti vogliono qualcosa!! la presenza decisa di un presidente come Reagan, anche qui materializzata in maniera tanto fugace quanto inevitabile addirittura attraverso una sola inquadratura, certifica la volontà di non ricorrere mai al passato in maniera malinconica e nostalgica, o peggio “mitica”, ma di usare sempre e comunque la lente del presente storico. Mettendosi allo stesso livello dei propri personaggi, preservandone l’integrità e accarezzandone lo sguardo sulle cose come massimo gesto d’amore. I migliori film di Linklater, regista alterno e frastagliato, scostante e innegabilmente unico, ci lasciano in eredità proprio questo: un artista sinceramente invaghito dei propri personaggi, immortalati e raccontati attraverso un sentimento del tempo pudico, partecipe, innamorato.
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