di Letizia Piredda
“Dimentica la musica e vivi” le dice la sorella Iakinthi per scuoterla dalla depressione.
In queste parole c’è tutta la tragedia di Maria, ormai immortalata come divina per la sua voce bellissima potente e trasgressiva insieme (spesso non rispettava le regole imposte dalla musica) e proprio da qui Larraìn parte, proprio dal punto di contraddizione massimo del suo personaggio, Maria Callas di cui racconta l’ultima settimana di vita. Ed èj con Maria che si conclude idealmente la trilogia di donne icone novecentesche iniziata con Jacky e proseguita con Spencer.
Lo stile inconfondibile di Larraìn e il suo spessore teorico partono proprio da questa capacità di destrutturare la figura pubblica operando uno squarcio tra la sconfinata estensione del mito e la claustrofobica realtà quotidiana, tra immagine pubblica e fuoricampo privato. Il tutto avvalendosi della solida sceneggiatura di Stephen Knight.
Maria Callas non può più cantare in pubblico, le sue precarie condizioni di salute non glielo consentono: passa le sue giornate confinata nella sua casa parigina, in preda ai suoi fantasmi, tanto che mentre guardiamo il film non sappiamo mai se quello che vediamo è reale o frutto della memoria o dell’immaginazione o delle allucinazioni. L’unico elemento umano presente nella fase finale della sua vita, è l’affetto dei servitori Ferruccio e Bruna, un Favino e un’Alba Rorwacher eccellenti nei loro ruoli, che costituiscono la famiglia che non ha mai avuto.
Ma il controcampo del film, che inizia con una morte, è la voce della Callas che sovrasta e vivifica ogni cosa e che viene addirittura disegnata con un magistrale scatto dal basso in alto della m.d.p. segnandone la traiettoria mentre sale espandendosi per tutta la sala del teatro.
L’interpretazione di Angelina Jolie, premio Oscar, riesce a raggiungere vette inaspettate non solo per quanto riguarda l’aspetto fisico, con quelle movenze da “regina”; ma anche nel trasmette l’affanno interiore della Callas, le sue oscillazioni tra moti di rivalsa del suo mitico passato e l’estrema fragilità del presente, rivelando una sensibilità non comune.
Il film procede punteggiato da inserti d’archivio, tra bianco e nero e colore, scorre in un flusso di memoria inarrestabile che mette insieme Jackie e Marilyn, JFK e Onassis, La Traviata e Anna Bolena che ci travolge e resta impresso travolgendoci con una forza emotiva di rara potenza.