“La polizia che vedi in giro, mica sta lì per pestarvi, sta lì per proteggervi” Samir, poliziotto “come no e da voi chi ci protegge?” Hubert
L’odio
L’odio ritorna in sala in versione restaurata 4K e chi lo vedrà per la prima volta, forse non capirà il momento storico in cui è nato il film, ma la sua potenza è ancora forte. Non è solo un film profetico a livello politico, ma ha anticipato tantissime tendenze del cinema moderno: il bianco e nero, il citazionismo già così fondamentale negli anni ’90, diventerà poi elemento di tendenza nel 2000, la struttura circolare del film che inizia e finisce con uno sparo e le banlieue come lo sfondo di una lotta di classe che non si compierà mai. Del lungometraggio si parla sempre per i suoi contenuti, tralasciando le scelte stilistiche: il bianco e nero e la musica esegetica, che sono la cifra stilistica di questo film, in realtà sono tutti elementi dettati dal poco budget, a cui Mathieu Kassovitz da un senso con trovate geniali, come la scena d’apertura con il mondo che brucia o le numerose vedute della banlieue, che ci fanno sentire come se fossimo al suo interno.
24 ore nella vita di Said (Saïd Taghmaoui), Vincent (Vincent Cassel) e Hubert (Hubert Koundé), un arabo, un bianco e un nero, sembra una barzelletta, ma non lo è. Le continue violenze della polizia, che hanno portato il loro amico Abdel (Abdel Ahmed Ghili) in ospedale e hanno fatto esplodere le sommosse all’interno della banlieue, in cui vivono, rendono il clima di questa soffocante. Tanto che i tre decidono di scappare a Parigi, ma anche lì non trovano un’atmosfera migliore.
Il film mescola una certa francesità legata alla nuvelle vague per scelte stilistiche: l’uso del bianco e nero, gli sguardi in macchina che ci riportano al cinema di François Truffaut e di Agnès Varda con Cleo dalla 5 alle 7 per come viene cadenzato il tempo. Ovviamente visto il contenuto sociale ci sono numerosi riferimenti e temi legati al cinema di Spike Lee più politico, come Fa la cosa giusta, Malcolm X e l’inserimento di grandissime citazioni alla New Hollywood (Taxi Driver e Il cacciatore), che da sempre è una cinematografia legata ai malesseri e alla solitudine dell’uomo moderno.
Mathieu Kassovitz, conosciuto dai più come Nino del Favoloso mondo di Amelie o per la serie The Bureau, qui nelle vesti di regista e sceneggiatore riesce a disegnare dei personaggi impossibilitati ad avere un‘esistenza normale, infastiditi dall’essere aditati a criminali solo per la propria provenienza, per il colore della propria pelle e costretti a vivere di piccoli espedienti illegali. Avvicinati da una troupe di giornalisti che non scendono neanche dalla macchina per paura, picchiati e minacciati dalla polizia, i tre giovani passano la loro giornata nella frustrazione e nella confusione. Allo stesso tempo, il regista ci fa empatizzare con loro, ma non fa sconti nella trasposizione e nel rappresentare dei personaggi inadeguati al di fuori del loro contesto sociale, come si vede alla mostra d’arte, dove i tre non essendo capaci di rapportarsi con delle ragazze, si sfogheranno tirando bicchieri e ribaltando tavoli, facendo proprio quello che tutta la società francese si aspetta da loro, i personaggi non sono minimamente degli eroi e non ambiscono ad esserlo, ma vorrebbero essere almeno considerati alla pari degli altri. I protagonisti, francesi di serie B sono alla ricerca di qualcosa che non sanno neppure loro come i protagonisti della nuvelle vague, si fissano allo specchio per capire la loro vera identità: sono nero, sono arabo, sono francese e vivo in una banlieue, che è casa e comunità, ma anche ghetto e luogo di controllo.
Prima dell’Odio, al di fuori della Francia non si sapeva neanche che cos’era una banlieue, quartieri di edilizia popolare e bombe a orologeria del malcontento sociale. La grande esplosione delle banlieue si avrà nel 2005, dieci anni dopo il lungometraggio, l’allarme dato dal film viene sottovalutato e relegato come succede spesso a un problema di ordine pubblico, più che a una mancanza di servizi e di possibilità nei quartieri periferici. Nel film si vedono proprio i personaggi attendendo lungamente il nulla e si sente la lontananza con le istituzioni. La banlieue con i suoi personaggi, i suoi intrecci e le sue storie è la vera protagonista del film.
L’Odio è invecchiato bene, perché purtroppo le cose non sono cambiate, ma come spiegare cos’è stato il film per la mia generazione e ancora di più per la generazione precedente alla mia? Gli anni ’90 hanno portano un’innovazione al cinema che poi culminerà nel 1999, tuttavia l’innovazione tecnologica e le novità del cinema di quegli anni non riguardano minimamente il cinema sociale, che invece sembrava sempre più relegato ai piccoli cinema d’essai e a una nicchia di cinefili. Con l’Odio i giovani, anche italiani, si rivedono in quel malessere, erano i primi anni del berlusconismo, la società era frammentata tra vecchi e nuovi ideali, la confusione e il disinteresse prendevano il sopravvento. Un’intera generazione che frequentava i neo-nati centri sociali o che vive nelle periferie italiane si rivede in Said, Hubert e Vincent, ne ripete le frasi, si veste come loro, ascolta la stessa musica e consacra il film a cult.
Le innumerevoli opere successive sulle banlieue, fanno si che si crei un genere e un dibattito, che si estende anche a mettere in discussione l’assimilazionismo francese, ma senza l’Odio questo non sarebbe stato possibile. L’Odio non è solo il grande film sul problema dei quartieri popolari francesi e la fotografia di quel malcontento, ma è un opera brillante per dialoghi, storia, messa in scena e capace di mischiare realtà con momenti surreali come il signore che esce dal bagno raccontando di quando è stato deportato, l’ubriaco (tra l’altro è un giovane Vincent Lindon) che consiglia i tre su come rubare un’auto e che poi salta sull’auto della polizia permettendo ad Hubert, Said e Vincent di scappare o Hubert che spegne la Torre Eiffel. È più surreale questo o la realtà? Il regista dice spesso dell’opera che è “89 minuti di commedia e un minuto di dramma”. Tuttavia noi siamo ben coscienti per tutto il tempo del film che questo dramma si consumerà.
Purtroppo non sono gli anni ’70, ma sono gli anni ’90 (Said lo dice a Vincent “parli in un modo, come se fossi un incrocio tra Mosè e Martin Luther King”), non è più il tempo della lotta politica, questa rabbia non verrà incanalata in qualcosa di positivo. Giustamente premiato a Cannes nel 1995 come miglior regia, avrebbe forse meritato la Palma d’Oro? Vista la capacità di leggere il fenomeno sociale e di cogliere il futuro. Poco importa, perché L’Odio è andato oltre i premi, ha creato qualcosa di nuovo a livello cinematografico e ha insegnato la rabbia a un’intera generazione di cineasti. Quando vediamo tornare i tre ragazzi a casa, in quel ritorno sembra che tutto sia possibile, Said cambia anche lo slogan del cartellone pubblicitario “il mondo è vostro” con “il mondo è nostro”, come le scritte che ci sono nel quartiere dove vivono e per un attimo, dopo quella giornata sembra che sia vero. Ad oggi, come dice Hubert la società è ancora in piena caduta, ne stiamo aspettando l’atterraggio. Il problema delle banlieue rimane irrisolto, insieme ai problemi descritti nel film, si è aggiunto quello dell’estremismo religioso, d’altro canto la stessa opera non ci dava false speranze, è stata profetica fino alla fine.