di Martina Cossia Castiglioni
Nel 1906, nell’antico villaggio di Deir-el-Medina, gli scavi archeologi diretti dall’egittologo Ernesto Schiapparelli portano alla luce la tomba e la cappella di Kha, architetto che lavorava al servizio dei Faraoni, e della moglie Merit. Oltre ai loro sarcofagi, la tomba conteneva il corredo nuziale della donna e gli oggetti di uso quotidiano della coppia.
Ed è proprio con la storia di Kha e del suo viaggio nell’oltretomba, narrata dall’attore Jeremy Irons sulla traccia del Libro dei Morti (o Papiro di Efankh), che inizia il documentario Uomini e dei. Le meraviglie del Museo Egizio. Presentato con successo in anteprima al Torino Film Festival, realizzato in occasione del bicentenario della fondazione del museo, il film arriva nelle sale italiane per soli due giorni, il 12 e il 13 marzo.
Prodotto da Nexo Digital, 3D Produzioni e Sky in collaborazione col Museo Egizio, Uomini e dei è un viaggio a più voci tra i tesori di una civiltà antichissima e moderna allo stesso tempo, come sottolinea il regista Michele Mally. Una civiltà, aggiunge, che ci ha portato in eredità tante piccole storie – d’amore, di lavoro – simili a quelle che viviamo noi ancora oggi. Dal sarcofago ligneo in resina nera e foglia d’oro di Kha al Libro dei morti, che raccoglieva formule religiose corredate di vignette policrome che avevano lo scopo di aiutare i defunti a superare gli ostacoli del cammino verso l’aldilà; dal modellino ligneo che raffigura la produzione di pane e birra alla mummia rannicchiata su un fianco (esempio di quando i morti venivano posti in fosse scavate nella sabbia) sono oltre quaranta mila i reperti conservati nel museo. E a guidarci tra le sue stanze, oltre a un affascinante Jeremy Irons, ci sono anche la presidente del museo Evelina Christillin, il direttore Christian Greco, alcuni dei curatori del museo e le restauratrici, che lavorano sulle mummie con delicatezza e profondo rispetto. Ascoltiamo le voci dei curatori dei centri e dei dipartimenti dedicati all’Egitto del Louvre, del British Museum, dei musei del Cairo e di Berlino. Torniamo sui luoghi (Giza, Luxor, a Deir-el Medina) nei quali i reperti sono stati ritrovati, seguendo le tracce dei primi collezionisti e scopritori, dal botanico Vitaliano Donati (vissuto nel 700) a Bernardino Drovetti, console generale in Francia, che nel 1823 vende al sovrano Carlo Felice di Savoia la sua collezione.
Colpisce, guardando il film, il rapporto di familiarità degli antichi egizi con la morte, la cura che dedicavano alla preparazione di questo evento. Matteo Moneta, co-sceneggiatore del film, racconta come studiando oggetti così delicati, visitando l’Egitto, si sia convinto che l’attenzione degli Egizi verso la morte fosse legata in realtà a un attaccamento alla vita, al bello e alla poesia che trovavano nella loro terra. E parte di questa dolcezza del vivere si riflette nelle immagini del film.
Uomini e dei è un documentario di grande qualità, come sceneggiatura, fotografia e montaggio. Peccato, come ha osservato la fondatrice di 3D produzioni Didi Gnocchi (all’anteprima stampa del 7 marzo all’Anteo di Milano) che non sia stato preso in considerazione tra i finalisti dei David di Donatello.