“Qualsiasi donna, al momento giusto, al posto giusto, con le giuste circostanze, farebbe qualunque cosa” Jake La Motta Toro scatenato
“Tatami” film di produzione georgiano-americana ma con il cuore in Iran, ha rappresentato uno dei casi felici della Mostra del Cinema di Venezia del 2023, dove ha ottenuto consensi e applausi. Un film sullo sport come la sua regia dimostra e film politico per i suoi contenuti, è un tributo al grande film sullo sport d’autore che è “Toro scatenato” (1980) di Martin Scorsese non solo nella scelta del bianco e nero, ma nella determinazione dei protagonisti, nell’adrenalina e nella crudezza dei combattimenti, che però trova la sua forza nella modernità del suo linguaggio e nei temi che tratta.
Leila Hosseini (Arienne Mandi) rappresenta l’Iran nei mondiali di judo femminili, sta vincendo tutte le gare e ha l’appoggio incondizionato della sua allenatrice Maryam (che ha il volto di tanto cinema iraniano di Zar Amir Ebrahimi, qui in veste anche di regista), ma quando su di lei si abbatte l’incognita della sfida con la judoka israeliana, Leila e Maryam cominciano a ricevere pressioni da parte della federazione iraniana di judo e dallo stesso gabinetto del presidente per un ritiro di Leila dalla competizione.
Il film ci fa immediatamente empatizzare con la sua protagonista facendoci sentire la sua musica direttamente dalle sue cuffiette, accompagnandola nei suoi allenamenti, vedendone la sua determinazione e i flashback della sua vita. Ne vediamo l’ascesa, la vincita di ogni combattimento, Leila si lancia sulla pedana pronta a sconfiggere le sue avversarie correndo per i corridoi dello stadio che la portano sul ring con l’appoggio della sua famiglia, delle sue compagne (scena in cui arrivano compatte e unite nello stadio) e della sua allenatrice, ma dopo le minacce, gli stessi corridoi che aveva percorso vittoriosa, diventano angusti, asettici e pieni di nemici. Guy Navitt e Zar Amir Ebrahimi riescono a creare un clima di tensione e ansia, in un film dove la narrazione va di pari passo al linguaggio cinematografico, esemplificativo di questo è la scena in cui Leila sta male sul ring e i commentatori dicono che la vedono appannata, noi attraverso i suoi occhi e la telecamera vediamo effettivamente appannato.
La lotta quindi non è più solo sportiva, ma diventa la metafora più ampia di quella parte di Medio Oriente e di Iran che è stufo di essere asservito ad Israele e di quei cittadini iraniani stufi delle restrizione della Repubblica Islamica dell’Iran, che controlla, sobilla e strozza, che vorrebbero trovare la propria libertà e lo dimostra attraverso la lotta come i fatti di cronaca ci raccontano. Il film, anche se segue dettami stilistici diversi si colloca perfettamente nel grande filone di film iraniani degli ultimi anni contro il regime “Kafka a Teheran” (2023), “Gli orsi non esistono” (2022) e “Il male non esiste” (2020), non ha meno dignità di questi perché parla di sport, lo sport è da sempre il motore di cambiamenti politici: 1936 Jesse Owen, atleta afroamericano vince 4 medaglie a Berlino durante il nazismo, il pugno alzato degli atleti neri di Tommie Smith e John Carlos alle Olimpiadi di Città del Messico nel 1968 o la capacità di unire come dopo la fine dell’apartheid in Sud Africa come ci ricorda Invictus (2009) di Clint Eastwood. Proprio come i fatti a cui il film si ispira delle atlete iraniane che hanno gareggiato senza velo, Elnaz Rekabi e Niloufar Mardani.
Leila osteggiata dal suo paese in quanto donna e in quanto atleta, Myriam lo dice “qui rappresenti l’Iran, non è una negoziazione”, è strozzata e privata della sua libertà come si vede nel combattimento finale, la questione di genere che sembra tanto importante per la distribuzione italiana tanto da dargli il sottotitolo furbo “una donna in lotta per la sua libertà” e farlo uscire durante la festa della donna, è solo una delle tante questioni che il film tocca. Tatami più che essere un film sulla discriminazione femminile è un film su come i regimi schiacciano le individualità in nome di una collettività, nei flashback di Leila lei pensa di essere immune ai ricatti del regime in quanto campionessa, eccellenza del suo paese, durante i mondiali si accorgerà che i regimi non premiano chi eccelle, ma semplicemente una collettività silenziosa, ubbidiente e forse mediocre. Tatami attraverso la sua regia concitata, incalzante, i suoi primi piani stretti sulle attrici, le scale scese di corsa e le prese volte al soffocamento, ci ricorda che il veicolo di un grande messaggio deve andare di pari passo con una messa in scena forte e realistica.