di Giulia Pugliese
La serialità, una volta relegata alle soap opera per le nonne, è diventa sempre di più messa in scena di quello che ci circonda, quasi più del cinema, perché permette una maggiore profondità, tanto che quando uscì “Mad Men”, “Breaking Bad”, “Westworld”, qualcuno si è chiesto, le serie sono la nuova letteratura? Possono essere viste, analizzate e interpretate come facciamo con il cinema e la letteratura?
Quest’anno, ma già erano prodotti cult, hanno trionfato ai Golden globe, e successivamente agli EMMY Awards, tre serie: Succession, saga familiare e di potere della famiglia Roy, il cui vecchio padre è proprietario e leader indiscusso di un impero dei media e di intrattenimento, nonostante l’età non ha nessuna intenzione di mollare il trono del suo impero ai suoi figli: uno più problematico del altro, li usa come marionette l’uno contro l’altro, in una lotta di vecchi rancori e rivalse; The Bear, la storia del giovane chef Carmy (il bravo e solido Jeremy Allen White, che finalmente si toglie da ruoli secondari per prendere le vesti di protagonista indiscusso) che dalle migliori cucine del mondo si trova a gestire la paninoteca di suo fratello suicida e il suo staff sgangherato a Chicago; The Beef, miniserie, ma di cui non si esclude una seconda stagione, un uomo e una donna iniziano un conflitto per un motivo futile: un quasi incidente in macchina, che porterà a un escalation di screzi e vendette, dove vi saranno numerosi colpi di scena.
Succession, è una dramma familiare, che parte dalla successione del titolo, per arrivare a uno scontro parricida, dove di volta in volta i fratelli sono gli alleati o nemici, ma non è solo questo, perché l’eredità/la vendita si intreccia con la politica interna degli Stati Uniti (la casata Roy avrà un ruolo importante nelle elezioni americane), con la finanza, con i nuovi media, con le politiche delle imprese di vendita: smembramento, baratto dove le imprese non sono più un insieme di lavoratori, ma pedine di scambio (emblematica la scena in cui il secondogenito Kendall compra un azienda di comunicazione digitale e siccome era stata chiamata “daddy boy” la smembra e licenzia tutti), ma anche la questione di genere, con la presenza di Shiv Roy, l’unica donna della famiglia, che verrà “usata”, dopo uno scandalo, per rabbonire i finanziatori. Non solo politica e finanza, ma anche grandi domande esistenziali: sulle relazione umane e familiari, sulla brama del potere, la vecchiaia e ovviamente il capitalismo. Alla fine il conflitto uscirà dalla famiglia e ci saranno altri contendenti: la controparte democratica e progressista dei Roy, i Pierce,che invece di un patriarca hanno una matriarca, fino ad arrivare alla contesa con la “nuova imprenditoria guru” dei nuovi media, eccentrica, arrogante e che si arricchisce con facilità, rappresentata da Lukas Matsson (Alexander Skarsgard gigioneggiante nell’interpretare un personaggio, che ovviamente si rifà neanche tanto velatamente ad Elon Musk). In un vero affresco su che cos’è il mondo dell’imprenditoria e della finanza oggi.
Succession
The Bear è una serie dove a livello di storia, non succede molto, ma succede da Dio. La serie si basa proprio sul ritmo sincopato che c’è nelle cucine, in un tentativo riuscito di far sentire allo spettatore la fatica, il caldo e la tensione dei momenti del servizio. I personaggi che circondano Carmy, non hanno mai avuto una reale opportunità di fare qualcosa, né qualcuno che credesse in loro e loro stessi non credono nel loro lavoro, tuttavia Carmy proverà a trasformarli in una vera brigata, anche con l’aiuto della nuova sous chef Sydney (Ayo Edebiri),e nella seconda stagione “The Original Beef” diventerà “The Bear”, un vero ristorante. Carmy non si trova solo a lottare con il tempo, con i soldi, ma anche con se stesso, la sua vita familiare, i traumi del passato e la sua mania del controllo.
The Bear
The Beef, miniserie dell’anno passato, contrappone come antagonisti due personaggi di origini asiatiche, due seconde generazioni, ma nati negli Stati Uniti che a parte le loro discendenze, sembrano non avere nulla in comune: Danny (Steven Yeun) ha una ditta di costruzioni che fa fatica ad ingranare, un fratello che lo disprezza e un cugino che vuole fregarlo, Amy (Ali Wong) invece possiede una vendita all’ingrosso di piante che sta per vendere a una catena di supermercati per diversi milioni di dollari, è imprenditrice, madre e ha una matrimonio felice, eppure anche lei, come Danny non riesce a controllare la sua rabbia e si butterà a capofitto in questo scontro per eccitazione e sfida.
The beef
Sempre di più la società americana spinge gli individui verso il successo, ma cos’è il successo nell’epoca dei social media, delle fake news, delle cripto valute? Il successo pare non c’entrare più con il merito. Carmy era uno chef di successo per capacità, ma il successo comportava essere umiliato dal suo capo, stare sottopressione in continuazione e attacchi di panico; i tre fratelli Roy, sembrano persone di successo, ricchi e in vista, tuttavia non sono riusciti a raggiungere niente e tutto quello che hanno dipende dal padre, vengono spesso umiliati, hanno spesso crisi e sono infelici. Amy ha tutto e lo dice “non credete a chi dice che non potete avere tutto”, tuttavia i soldi, l’amore del marito e della figlia non riescono a colmare quella sensazione di vuoto. In sostanza il successo guadagnato o no, è qualcosa che consuma e che ci porta a volerne sempre di più, comunque di per sé, non ci rende completi.
La famiglia, una volta luogo di accoglimento se pensiamo alle serie tipo “La Famiglia Brady” o “Settimo Cielo”, diventa luogo di scontro e di continue umiliazioni (memorabile la scena in cui gli fa fare i cani per avere una salsiccia) e prevaricazioni in Succession, dove il padre non perde mai l’occasione di far notare ai suoi figli, che senza i suoi soldi non sarebbero nulla, la madre si dimostra totalmente disinteressata, anaffettiva e anche le famiglie che i figli si sono creati (Kendall, Shiv, Connor) sono disfunzionali. Per Carmy la cucina è famiglia, sua madre (perfetto il cameo di Jamie Lee-Curtis) prepara i sette pesci per Natale da sempre, tradizione italiana natalizia inventata, salvo poi avere crisi di pianto o peggio, perché nessuno la bada, per la famiglia Berzatto, famiglia significa squilibrio mentale, una genetica errata che porterà il fratello al suicidio, Carmy a mandare in aria il suo successo e sua madre ad allontanarsi dai suoi figli. Per Danny la famiglia è tutto, si racconta che fa tutto per la famiglia, l’attaccamento morboso al fratello porterà quest’ultimo ad allontanarsi, la sua volontà di prendersi cura dei suoi genitori anziani, così da essere il figlio perfetto per la sua cultura d’origine, sembra trovare un certo scetticismo da parte di questi. Amy che parte da una famiglia molto malandata, tenta di costruirsi una famiglia perfetta basata però sulle bugie e su una perfezione di facciata. La famiglia quindi diventa luogo di malessere, sporcizia, dove non ci sentiamo capiti e da cui allontanarci.
In una società sempre ossessionata dall’esclusività e dall’apparire, la ricchezza conta, salvo poi renderci ciechi come la famiglia Roy in Succession o stupidi come l’imprenditrice che vuole acquisire l’impresa di piante di Amy, Jordana (Maria Bello) che colleziona corone e fa cene di funghi, in The Bear si ambisce ad uno status maggiore ma attraverso il merito, tuttavia ci viene detto che adesso i ristoranti di lusso personalizzano così tanto il servizio da guardare i social media dei clienti per realizzarne i desideri, in una sorta di 1984 dei consumi. Il capostipite delle serie è stato “White Lotus”, ma ormai è diventata una costante: l’eccentricità di Connor Roy (Alan Ruck) che colleziona pezzi di Napoleone, tanto da comprarne il prepuzio, le strane inventive sessuali edipiche del minore della famiglia Roman (Kieran Culkin) per una donna più matura che lavora per loro, Jerry (J Smith Cameron), Jordana che è ossessionata dalla sua ricchezza tanto da pensare di comprare tutto, anche i ricordi di infanzia del marito di Amy, George rappresentati dalle sedie fatte da suo padre. I ricchi, o meglio gli arricchiti ci sembrano presuntuosi, incapaci di badare a se stessi, contenti di vessare chi sta sotto di loro eppure allo stesso tempo risibili e facili da ingannare.
Il conflitto, visto come negativo dalla vita moderna fatta di immagini stereotipate, pensieri positivi e sorrisi, diventa centrale in queste serie, il conflitto è forse l’unica cosa che ci rende vivi, che ci sveglia dal torpore, che ci fa avere dei rapporti reali con gli altri, un confronto, un pathos, una conoscenza che passa per la sofferenza che poi sarebbe l’empatia, che a volte in questi personaggi manca del tutto. Il conflitto diventa centrale che sia per l’eredità, ma in realtà per ottenere l’affetto di un padre (Succession), per un cambiamento necessario (The Bear) o per ritrovare se stessi (The Beef). Il conflitto è l’ultimo baluardo di umanità che abbiamo.
Quello che accomuna queste serie è il ritmo concitato, un ottimo cast, sceneggiature solide con dialoghi brillanti e uno sguardo moderno, ma allo stesso tempo un preciso riferimento alle domande esistenziali che ci facciamo tutti noi.
A voi quale serie è piaciuta di più? Come si evolve la serialità nei prossimi anni?