di Martina Cossia Castiglioni
In occasione dell’uscita, fuori dalla Spagna, di Strange way of life, alcune sale ticinesi hanno proiettato il cortometraggio di Pedro Almodóvar insieme a The human voice, il primo lavoro in lingua inglese del regista, presentato al Festival di Cannes di tre anni fa.
In questo libero adattamento della pièce di Jean Cocteau, interpretato da Tilda Swinton, ritroviamo tutte le caratteristiche del cinema del regista spagnolo, sia dal punto di vista formale che nel contenuto.
Locandina del film The human voice
Negli anni Settanta Almodóvar vede Amore di Roberto Rossellini, con Anna Magnani, e solo in seguito legge il testo di Cocteau. Da allora La voce umana torna spesso in varie forme nelle sue pellicole. Ne La legge del desiderio il protagonista Pablo Quintero (Eusebio Poncela) la porta in teatro facendola interpretare dalla sorella Tina (Carmen Maura). La pièce è anche all’origine di Donne sull’orlo di una crisi di nervi, e di conseguenza anche di Chicas y maletas, «auto omaggio» metacinematografico a Mujeres all’interno del film Gli abbracci spezzati. Almodóvar rievoca la genesi di Donne sull’orlo di una crisi di nervi anche nel racconto Troppi cambi di genere, tratto dalla raccolta L’ultimo sogno (Guanda). Nella finzione letteraria, però, il film si intitola Davvero mi chiedi se sto bene? e il protagonista principale è Leon, attore feticcio e amante di un regista (senza nome), voce narrante del racconto.
In The human voice la forma teatrale della pellicola, così come la finzione cinematografica, sono subito svelate agli spettatori. Nelle prime sequenze Tilda Swinton cammina all’interno di una sorta di hangar. Dopo i titoli di testa e una scena in un negozio di utensili, la donna torna nel suo appartamento che, grazie a una ripresa dall’alto, scopriamo essere ricostruito proprio all’interno dell’hangar. In questi due spazi, come in un teatro di posa, si muove la protagonista.
Anche se ci troviamo comunque in un luogo chiuso, la scenografia rende l’ambiente meno claustrofobico rispetto a quello che si respira in altri adattamenti della pièce di Cocteau (a cominciare da quello di Rossellini). La stessa regia è più dinamica: Tilda Swinton si sposta da una stanza all’altra dell’appartamento, va sul balcone (che ricorda in miniatura la terrazza dell’attico di Pepa in Mujeres), grazie anche a un moderno smartphone con auricolari.
Una donna abbandonata, un apparecchio telefonico, l’attesa, sono gli elementi principali che avvicinano il monologo di Cocteau alle versioni almodovariane.
Elementi che ritornano anche in un altro film del regista, Il fiore del mio segreto. La scrittrice Leo vive una profonda crisi, artistica ma soprattutto personale. «Non puoi stare a casa tutto il giorno ad aspettare la chiamata di Paco», la rimprovera l’amica Betty. Benché si illuda di poter ancora salvare il suo matrimonio, Leo è già una donna sola, e nella parte iniziale della pellicola il telefono sembra essere per lei l’unico (illusorio) strumento per comunicare con il marito.
The human voice, sopra Donne sull’orlo di una crisi di nervi, sotto Il fiore del mio segreto
In Donne sull’orlo di una crisi di nervi il telefono è collegato a una segreteria telefonica. Pepa e Ivan, l’uomo che l’ha lasciata per un’altra donna, non si parlano mai direttamente, tranne che nel finale. La segreteria (che peraltro a un certo punto, esasperata, Pepa getterà dalla finestra) è la depositaria dei pochi messaggi di Ivan, perché le sue chiamate non coincidono mai con la presenza in casa della donna. Come nelle scene del doppiaggio di Johnny Guitar. In questo senso in Mujeres la voce significa anche poter diventare qualcun altro, interpretare un ruolo, e in qualche modo “mentire”. Tuttavia, Pepa lo dice forte e chiaro nel film, «Ivan può ingannarmi con tutto, tranne che con la voce»
In The human voice tornano i colori tipici del cinema di Almodóvar: rosso, arancione, verde, giallo, bluette. A dominare è il rosso, il colore dell’amore e della passione, ma anche quello del fuoco che distruggerà l’appartamento. Rosso è il cellulare di Tilda Swinton (come il telefono di Pepa in Mujeres), rosso l’abito col quale si apre la pellicola. La donna cambia spesso vestito ne La voce umana, come accadeva a Carmen Maura in Donne sull’orlo di una crisi di nervi, ma in entrambi i film è sempre il rosso a prevalere.
Tilda Swinton è vestita di questo colore nella sequenza in cui prende le pastiglie. Poi, sdraiata accanto alla giacca e ai pantaloni dell’amante stesi sul letto, simulacro di una presenza (o di un’assenza), la donna si addormenta. La sveglieranno il telefono e il cane Dash che le lecca il viso.
C’è una scena molto simile nel Fiore del mio segreto. Anche Leo indossa un abito rosso, anche lei ha ingoiato delle pillole, si è sdraiata sul letto e si è addormentata. Ma la voce della madre nella segreteria telefonica la strappa letteralmente alla morte. Qui, dunque, la voce ha un potere salvifico.
Pepa prende i tranquillanti per dormire, Leo perché pensa di non poter vivere senza Paco.Il personaggio di Tilda Swinton, al telefono con l’amante, dice di aver sempre saputo che la dose da lei ingerita non sarebbe stata letale.
A differenza della protagonista del testo di Cocteau, lei non accetta passivamente l’abbandono. Mentre l’appartamento (al quale lei stessa ha dato fuoco) brucia, la porta dell’hangar si apre sull’esterno. La donna si dirige con il cane verso l’uscita, finalmente all’aperto, libera dalle costrizioni di uno spazio chiuso, di un ruolo che non le appartiene più.