di Lorenza Del Tosto
Strani gli ultimi giorni del Festival a Venezia: si sono già visti tanti film, anche quelli che spiccano sugli altri e sui cui premi è facile scommettere. Non ci si aspetta sorprese, resta solo il rammarico per quel film che non si è riusciti a vedere e di cui invece tutti parlano. Stanchi e distratti, davanti all’immancabile Spritz ,si vagheggia piuttosto di passeggiate al tramonto soprattutto in questa 80ma edizione della Mostra del Cinema piena di film d’amore.
“Domani si va al mare” ci promettiamo andando a dormire. Confortati dall’impressione, mai di fatto confermata, che gli ultimi film in concorso siano sempre i minori. Gli ultimi saranno gli ultimi. Ma al risveglio ecco uno strattone, forse la nostra mai sopita coscienza, o la sindrome d’astinenza che costringe a correre in sala già alle 8.30 del mattino, arrancando per le stradine del Lido, nell’aria profumata di settembre che promette che il meglio è da venire e tu finisce che ci credi, anche se sai già che a venire è solo l’autunno, le foglie morte e lo struggimento delle cose perdute.
Così ci ritroviamo in sala, al buio, anche quest’ultimo giorno. Forse è stato il titolo a strattonarci Memory . Quanti mondi in una parola. Memoria. Ricordi. Scrigni di tesori che ci portiamo dentro senza sapere bene cosa contengono, di quali istanti si sono intessuti, perché quelle immagini e non altre. Anche, nello scrigno, brutte pietre nere, di cui preferiremmo disfarci. Ci sono già film con questo titolo. Ed eccone ancora un altro. Vediamo cosa ci raccontano Michel Franco, regista e Jessica Chastain e Peter Sarsgaard, gli interpreti. Sarà qualcosa di violento, di ruvido e feroce, memoria che alimenta la vendetta nel puro stile di Michael Franco? Sulla scia di Nuevo orden e Sundown ?
L’inizio cupo conferma le aspettative: riunione degli AA, Sylvia (Jessica Chastain), una donna che da 13 anni non beve e sembra perseguitata da una paura che le impedisce di stare con gli altri. Una rimpatriata di vecchi compagni di scuola da cui lei fugge e un uomo Saul (Peter Sarsgaard) nella notte la segue. Un uomo che forse è responsabile degli abusi sessuali che lei ha subito nell’infanzia. Il giorno dopo Sylvia, determinata, va a cercare quell’uomo.
Ci agitiamo un poco sulla poltrona: ci sarà una strage di maschi abusatori? Insieme a noi freme tutta la sala dei cine dipendenti delle 8.30. La componente maschile del pubblico si porta una mano alle zone da proteggere.
Ma no, no, no. Michel Franco deve essere lì, nascosto in sala, a spiarci. A divertirsi della nostra sorpresa, della nostra profonda commozione. Dei nostri cuori che, l’ultimo giorno del Festival, non credevano di poter essere ancora tanto sbatacchiati. Il film corre via, lontano da ogni ipotesi truce. Memory vola. Ci incolla alla poltrona, sbaraglia ogni aspettativa. Jessica Chastain e Peter Sarsgaard con i loro gesti sublimi, i loro sguardi, le esitazioni, la malinconia, la paura, raccontano l’amore sempre possibile. Di chi è ferito e pensava che mai più nessuna emozione lo avrebbe avvolto, ammantato, curato. Senza un cedimento, senza una sbavatura due anime ferite ci dicono che la vita è bastarda ma anche meravigliosa.
All’uscita dalla sala il cuore è gonfio di emozione. Delle donne certo, ma soprattutto degli uomini: tutti vogliono essere lui, il protagonista – Sarsgaard vincerà la coppa Volpi – che pure non è un super eroe, non ha lo sguardo assassino, non ha soldi né potere. Non può sedurre una donna con la sua macchina potente e i racconti di una vita di successi. È un rappresentante delle broken people di cui a Michael Franco piace raccontare la storia.
Un uomo rotto dentro che sta perdendo la memoria.
Che magnifica storia d’amore! Che umanità dolente e struggente. Altro che tuffo al mare. Vorremmo spostarci in un’altra sala e rivedercelo subito Memory alla proiezione delle 11, ma un altro strattone, questa volta ad opera di una mano gentile, ci distoglie dall’intento, ci fa segno di seguirla, saliamo rampe di scale ed entriamo in una sala segreta, protetta da fotografi, curiosi e rumori di ogni sorta, una porta si apre e, sullo sfondo di una terrazza che affaccia sul mare sono seduti splendenti, come divinità amorose e gentili, Michel Franco e Jessica Chastain.
Lui piccolo, un’aureola da medusa di capelli ricciolini, lo sguardo profondo e immensamente gentile. Lei svetta radiosa, luminosa, una cascata di capelli rossi, occhi che brillano e un’aura di eleganza che sembra innalzarla su una nuvoletta, quasi un trono, un poco al di sopra del pavimento della stanza. Deve essere l’effetto premio Oscar (Vinto per Gli Occhi di Tanny Faye nel 2022).
I giornalisti siedono attorno e li guardano. Stupiti, ancora scossi dalla proiezione a cui hanno appena assistito.
Michel Franco, Jessica Chastain e Peter Sarsgraad
Cosa è successo a Michel Franco? Vogliono sapere tutti. Da dove nasce questo racconto così lontano dagli esiti violenti delle sue storie.
“A me piace parlare della vita che è complicata e piena di conflitti” Risponde lui timido e sorridente. “Nei conflitti c’è sempre qualcosa che non va. Questa volta ho voluto pormi una sfida: vedere se invece di andare di male in peggio le cose potevano prendere la via contraria. Ma non come esercizio di stile. Prima di Sundown ho attraversato una profonda crisi personale. Con questo film invece ero in pace con me stesso.”
Sorride e, immobile sulla sedia, sembra ritrarsi nella sua sfera di pace. Quante cose vorremmo sapere da lui: rintracciare, ad esempio, il bandolo dei fili che compongono la trama del film. A quali mondi ha attinto, a quali ricordi ed esperienze? Che enorme scrigno di sensibilità racchiude quest’uomo. Con quale maestria tratteggia le famiglie dei protagonisti che di sicuro vogliono aiutarli, ma sentendosi sempre un poco in colpa e sempre incapaci di prendere una posizione chiara e sempre con una punta di condiscendenza, come se il trauma, in fin dei conti, fosse qualcosa che i loro cari si sono andati a cercare. E quale perizia nel disseminare piccoli dettagli che aprono a infiniti piani di lettura.
Ma Michel Franco sorride e tace. Vuole che tutto lo spazio sia per la sua diva e i nostri occhi tornano a lei. Ricerchiamo nello splendore che abbiamo davanti, la Sylvia dolente, malinconica e combattiva che, con tanto amore, ha portato sullo schermo.
C’è grande amore nel film per i traumatizzati della terra, per coloro che cercano di sopravvivere, come possono, al colpo che gli è stato inferto. “Si fanno strane cose a volte per coprire il dolore.” Come ha sussurrato poco fa Michel Franco nella sua bolla di pace.
“Pensavano che l’Oscar mi avrebbe cambiato. Invece a me piacciono i ruoli di sempre, quelli in cui devi immergerti in un’altra realtà, studiare a fondo ed essere al servizio della storia.” Spiega la splendida Chastain “Ho trascorso del tempo in un Centro per assistenza ad adulti con difficoltà psichiche dove Sylvia lavora. Ho partecipato a riunioni di AA. Ho parlato con tante persone per meglio capire il dramma di Sylvia. Lei si nasconde, si chiude in casa, si impedisce di vivere. Ha fatto del suo trauma uno scudo per proteggere se stessa e la figlia dal mondo. Ma alla fine l’incontro con Saul, che sta perdendo la memoria, le offre una possibilità.”
Bellissima la possibilità che Michel Franco offre ai suoi personaggi di rovesciare le cose. È questa la strada inversa, il paradosso del suo cinema: la perdita di memoria acquista un valore terapeutico, un’infinita capacità di riscatto. Se non ricordi il passato lo lasci andare e puoi ricostruire la tua vita ogni giorno, mettendoci tutto l’amore che ancora sai dare. L’incontro con qualcuno che non è legato alla catena della violenza permette di tornare a vivere. Magnifica scommessa che sposta la prospettiva: l’oblio come fonte di guarigione. Perché no?
Michel Franco sorride in silenzio e Jessica Chastain riprende il filo del discorso:
“Memory ha tanti piani di lettura. Proprio come le scene nel film dove, tra i personaggi ci sono più segreti che cose dette, che sono le mie preferite.”
Questa diva luminosa che ha sposato un italiano, i cui figli parlano italiano, che adora il cinema internazionale e l’Italia, viene da un passato ben diverso. Nata a Sacramento (USA), figlia di una madre single, è stata la prima nella sua famiglia a studiare, e ha trovato nelle storie e nella possibilità di raccontarle la strada per uscire da un destino segnato.
Tanti anni fa si è presentata ad un’audizione per la parte di Giulietta, non aveva esperienza né formazione, solo la capacità di immaginare il desiderio e la passione di una ragazza che aspetta il ragazzo che le piace.
Quella Giulietta appassionata, che ha finito la sua audizione distesa a terra nelle spire del desiderio, le ha permesso di vincere una borsa di studio e di frequentare le scuole più prestigiose di teatro, è ancora palpitante, seppur invisibile, dentro questa diva, pronta a rivivere ogni volta sul set nei personaggi “rotti dentro” che lei ama come Franco.
Broken people la cui vita di ogni giorno è immensamente complicata.
Quando parla della sua eroina, che dallo schermo ispira il desiderio di correre ad abbracciarla, Jessica Chastain si trasforma, scende dalle sue vette e si sporca della polvere della vita.
“Sylvia è una donna coraggiosa. Immagino quanto debba essersi sentita sola. Essere traditi dalla propria madre è un’esperienza devastante, eppure lei riesce a spezzare il circolo vizioso e a dare immenso amore a sua figlia. Perché spesso ciò che ci spezza è anche ciò che ci crea. C’è speranza nel film, e questo mi rende orgogliosa. Quando si parla di violenza domestica, purtroppo non si parla mai di speranza.”
Michel Franco, ricciolino e sorridente, si gode lo spettacolo dell’incontro tra la dea e i giornalisti, ammira la tempra e la passione di Jessica Chastain.
Una dea che si batte per le cause più giuste e a cui l’Oscar non impedisce di esporsi in prima linea a sostegno dello sciopero ad Hollywood.
“Ho avuto l’autorizzazione per venire a Venezia e sostenere la causa. Con lo streaming il mondo è cambiato e i produttori devono farci i conti. C’è gente ad Hollywood che vive in macchina con la famiglia. Bisogna tornare al tavolo dei negoziati. Io sono qui per dire che la protesta è viva e noi la sosteniamo.”
Michael Franco emerge per un istante dal suo silenzio. “Spero che la conseguenza di tanta agitazione sia che si torni tutti a guardare i film in sala.”
Ma ecco, come d’incanto una porta si apre e loro, in un istante, svaniscono: la diva impetuosa e il regista silenzioso. Restiamo con il dubbio che siano esistiti davvero, di averli incontrati davvero.
E se fosse stato solo un bel sogno?
Ma ora, scesi in strada, la pace di cui Michel Franco parlava sembra esserci scivolata sotto pelle. L’aria di settembre si insinua nelle narici e sì, deve essere proprio vero: il meglio è ancora tutto da venire. Se lo dice Michel Franco, con il suo caos e il suo disordine, vorrà dire che è vero.