Una spiegazione per tutto, Yurt e Tatami: tre film un unico fil rouge, le divisioni profonde nei paesi dell’Est e nel Medio Oriente.

di Letizia Piredda

Se tra i film in concorso alla Mostra di Venezia 80 prevale un registro incentrato sul mostruoso, sul surreale e sul grottesco, tra i film della sezione Orizzonti emerge un fil rouge improntato alle divisioni politiche, sociali e religiose. Così in The explanation for everything  ( Una spiegazione per tutto) di Gabor Reiz, ci troviamo in Ungheria dove nel 2021 l ‘Universitá di Teatro e Arti Cinematografiche ha perso la propria autonomia ed é stata riorganizzata dall’alto secondo le direttive dello Stato. Qui scoppia un caso eclatante che fa emergere tutte le tensioni sociali: un professore di storia, di tendenze liberali, boccia agli esami di maturitá Abel, un ragazzo che portava una coccarda tricolore sulla giacca. Ogni anno in Ungheria per l’Anniversario della guerra di Indipendenza 1848, si indossa una coccarda tricolore, ma negli anni il significato di questo gesto é cambiato radicalmente, da segno di libertá a segno di sostegno del nazionalismo imperante. Ne nasce uno scontro a livello istituzionale che porta il professore sull’orlo della perdita dell’incarico. Alla fine la commissione decide che l’esame verrà rifatto in modalitá aperta.
Ma il ragazzo, sul più bello, scappa lasciando tutti senza parole.
In realtà, nonostante le pressioni e il supporto dei genitori, Abel é arrivato all’esame totalmente impreparato, non riesce in nessun modo a memorizzare le nozioni di storia. 

Una spiegazione per tutto, di Gabor Reisz

La bolla sullo scontro politico si sgonfia, ma il film riesce a evidenziare molto bene il clima oscurantista che regna a tutt’oggi nella scuola ungherese, cioé nella istituzione che dovrebbe promuovere i valori culturali, sociali e di libertà e formare i quadri della società futura.

Con Yurt (Dormitory) di Nehir Tuna, siamo in Turchia dove dal 1997 la tensione tra turchi religiosi e laici é in aumento. Ahmet,14 anni, viene mandato dal padre, da poco convertito, in uno Yurt, un dormitorio islamico, per imparare i valori musulmani. Ma vive continuamente in bilico tra lo sforzo per assecondare il desiderio del padre e le spinte interne che lo portano lontano da qualsiasi indottrinament religioso, oltre alle difficoltà ad integrarsi con i turbolenti ragazzi del dormitorio e l’isolamento rispetto ai compagni della scuola laica che frequenta di giorno. Dovrà lottare duramente per affermare il suo crescente bisogno di libertá e, aiutato  dal sodalizio con Hakan, l’unico amico del dormitorio, riuscirá a lasciarsi alle spalle l’incubo dell’educazione religiosa  e affermare le sue scelte vitali.

Yurt (Dormitory) di Nehir Tuna

E infine approdiamo in Iran con Tatami, di Guy Nattiv e Zar Amir Ebrahimi. Ha i toni di un thriller questo film, il primo codiretto da una regista iraniana e da un regista israeliano. E giá questa premessa é una promessa. Ci troviamo ai Campionati mondiali di Judo e ci immergiamo nella lotta sostenuta dalla judoista iraniana Leila e dalla sua allenatrice per conquistare il primato. Lotta come una leonessa Leila, sostenuta dal marito e dalla cerchia dei familiari che la seguono a distanza. Ma non sa che troverá un ostacolo insormontabile nella lotta iniziata. Infatti poco dopo le arriva un ultimatum dalla Repubblica Islamica di fingere un infortunio e di ritirarsi per evitare di combattere contro la campionessa israeliana. La lotta di Leila diventa cosí la metafora di una lotta senza quartiere di resistenza e di affermazione: disobbedire al regime e combattere per la propria libertà e quella della sua famiglia mettendo in pericolo le proprie vite.

Tatami, di Guy Nattiv e Zar Amir Ebrahimi

Questi tre film ci portano, con diversi stili e modalità narrative, ad affrontare una geografia minata dal terrore, dove la cupa affermazione di egemonia e di sopraffazione politica, sociale o religiosa ne costituiscono la spina dorsale. 

Forse non sono film particolarmente strutturati sul piano stilistico, infatti seguono per lo più un flusso narrativo classico, tranne l’ultimo che é costruito come un thriller, ma ci allertano con storie davvero emblematiche sul difficilissimo percorso che ancora resta da fare nei paesi dell’est europeo e nel Medio Oriente per arrivare a conquistare la libertà nelle sue diverse accezioni.

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Letizia Piredda ha studiato e vive a Roma, dove si è laureata in Filosofia. Da diversi anni frequenta corsi monografici di analisi di film e corsi di critica cinematografica. In parallelo ha iniziato a scrivere di cinema su Blog amatoriali.
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