di Tano Pirrone
Ordinaria pirateria nell’Europa “orfana” degli inglesi
Storia semiseria di un film bellissimo che a noi sta superbene!
Da due settimane sono ospite gradito in un paesino della Gallura, piccolo, ma di grande storia e in cui risiedono affetti decisivi del sottoscrivente Orco Botanico. Non leggo più i giornali da circa 13 mesi (tranne ogni tanto il fondo dell’Avvenire (sì, proprio quello: io che leggo l’organo ufficiale dei vescovi cattolici italiani) e non apro la tv se non per cercare (impresa invero titanica) un buon film da vedere. Quindi poco so di ciò che succede nel mondo e, in confidenza, poco me ne impipa! Torno a scrivere dopo aver staccato per un bel po’ la spina, ed essermi allontanato quanto più è possibile dalla sfera umanoide. Ciò non significa che non frequenti umani e che nella folla non riesca ancora a trovarne: tutt’altro; inoltre, qui, in Sardegna, ho avuto ogni giorno l’opportunità di attaccar bottone con splendidi superstiti esemplari di locali con i quali sono riuscito a stabilire rapporti di comprensione e di condivisione molto forti, confrontandomi con la dignità fiera di un popolo lontano miliardi di anni luce dalla miserrima classe politica che lo governa. Frequento umani e imparo, confronto i risultati e metto fieno in cascina.
Proprio in questo periodo di purificazione sta svolgendosi il Festival del Cinema di Cannes (echi pervengono, infiltrandosi nelle opportune pur solide istallazioni difensive; cascano calcinacci, ma l’Orco resiste). Mi arriva poc’anzi un articolo in lingua inglese prelevato non so dove con notevole rischio e pericolo e trasmessomi nella lingua originale che sconosco. Ho pregato la brava instancabile amica cui devo l’invio di rimandarmelo tradotto nella nostra bella (ancor per poco) lingua. Sto aspettando. Nel frattempo, in attesa che declini questo fiammante après-midi, comincio a riprendere abitudine nello scrivere, peccaminosa trasgressione sospesa da qualche settimana, per respirare, far riposare i residui giacimenti neuronali e le oscure larve che nella materia grigia si pasciono.
Mi è arrivata la risposta, di cui riporto l’estrema sintesi: «Tale Peter Bradshaw scrive che “Mia madre” era tremendo e che “Il sol dell’avvenire” è orribile, una totale perdita di tempo.»
A questo ho risposto (sempre in estrema sintesi): «Poco me n’impipo del Guardian e di altri simili, onestamente. Se un molle giocherellone anglosassone non ha capito “Mia madre” e l’ultima recentissima opera, in corsa a Cannes, vada pure a farsi catafottere (vocabolario camilleresco, ormai ampiamente accreditato): noi siamo noi e Nanni è Nanni!»
Chiarisco: ho visto il film di Nanni “Il sol dell’avvenire” appena uscito, due volte a distanza di due giorni, ed appena rientrerò dal felicissimo e nutriente esilio sardo, farò di tutto per vederlo di nuovo. Perché? Perché il film, con una vena tutta italiana (che l’inglesaccio Bradshaw non può comprendere) e una pennellata amicale dell’eterno irraggiungibile Federico (l’inglesucolo guardiano deve risalire al buon Guglielmo Crollalanza – il Florio, calabro siculo, modestamente a parte! – ci narra, con fantasia ricca e mezzi semplici, della nostra vita – della nostra vita di italiani, orfani di re e di imperi, deograzias! – della coda novecentesca di questa storia e degli spiragli del terzo millennio.
Nanni, caro il mio Piero Orarioferroviario (ma come c… ti hanno chiamato?), è il nostro Avatar (che nella lingua di PADREDANTE significa “incarnazione”: un processo complicatissimo, che non sto a spiegarti, ma che potresti comprendere benissimo avendo a che fare con orari di partenza ed arrivi di un sistema di trasporto su ferro, questo sì, veramente invidiabile.
Incarnazione: noi tanti italiani – maschi, femmine, eccetera – ci siamo rivisti in Nanni e con lui abbiamo toccato tutte le stazioni della nostra vita di oltre mezzo secolo, nel bene (poco) e nel male (tanto), nella felicità angiolesca di una vittoria isperata e nella tetra delusione per una delle tante sconfitte. Incarnazione in un medium che ha saputo leggere questi anni, decodificandoli e permettendo a noi tanti, tantissimi di stringerci a coorte, di scendere in piazza di perdere le notti a discutere, eccetera – caro Pierino – eccetera.
“Il sol dell’avvenire” è un film che fa il punto nella storia di una generazione: storia di cui siamo fierissimi, anche se sembra perdente, anche se i nostri figli non ne colgono ancora lo spessore, l’indiscutibile valore morale e politico, oltre che artistico. Non abbiamo avuto bisogno di diventare il cric dell’Impero americano, i soci mica tanto occulti infiltrati nell’Europa unita che non vi apparteneva, tant’è vero che siete fuggiti ed ora montate la sentinella fuori dal vecchio Continente, che non vi appartiene, così come non appartiene ai vostri incendiari padroni d’oltreoceano.
Caro Pierino, stùdiati l’orario ferroviario e lasciaci godere la nostra “arte”: siamo piccoli, ma la nostra ombra si allunga dovunque nel mondo, ovunque ci sia buon gusto, fantasia, arte, creatività, passione. Non importa chi vincerà a Cannes, noi abbiamo vinto già mille volte; e Nanni a cavallo della Vespa non è Brancaleone alle crociate, ma il nostro amico di una vita, in cui ci riconosciamo e che speriamo di goderci ancora per molto.
Addio Pierino, studia l’orario e poi, se sarai bravo, ti offriremo un cucchiaio di “pudding”; noi, poveracci, ci accontenteremo di un cannolo di ricotta degli Iblei… addio!