di Letizia Piredda
Lei apre il quaderno e comincia a scrivere, poi il suo sguardo va verso la finestra che si allarga fino a diventare schermo. Mari di campi, alberi, prati, fiumi si susseguono ininterrotti e, in sottofondo, a mo’ di contrappunto il pennino che graffia nervosamente la carta.
Così vediamo Emily quando, dopo la lacerante delusione amorosa, si accinge a scrivere il romanzo che la renderà famosa: Cime tempestose.
Emily personaggio moderno imprigionato nelle severe regole vittoriane, alta di statura con i lineamenti marcati e dolci insieme, costretta negli abiti dell’epoca, ribelle disadattata geniale e soprattutto libera, in quel vorticare incessante sui campi, nelle corse irrefrenabili con il fratello, nelle capriole sui prati. Libera, ma anche isolata, immersa nella vasta brughiera, audace e timida allo stesso tempo, e, se necessario, addirittura sfrontata.
Forse bisogna inventarla o meglio, reiventarla la vita di Emily Brontë, per renderla credibile ed è quello che fa Frances O’ Connor giocando tra elementi reali della vita di Emily con quelli prodotti dalla sua fantasia nel romanzo che scrive, e stabilendo una interazione tra i due. La relazione amorosa con il nuovo pastore, così intensa e magnetica, sarebbe stata proprio così se si fosse verificata nella realtà: travolgente, passionale fino allo spasimo, libidica, capace di superare qualsiasi ostacolo, capace di vincere qualsiasi maldicenza, almeno finché fosse stata corrisposta. Bisogna conoscere bene la vita di Emily Brontë, per poter cogliere la presenza di questo duplice binario.
Alcune immagini del film
La famiglia dominata dal severo padre rimasto vedovo e di cui Emily vorrebbe conquistare l’affetto; il fratello Branwell, a cui la lega un amore così forte da rasentare l’incesto e che segue in tutte le avventure più estreme, come il bere e il fumo dell’oppio; l’amore-odio e la forte rivalità con Charlotte e l’alleanza totale con Anne, la sorella più piccola.
Questa più o meno la geografia affettiva familiare in cui si muove Emily. E anche la famiglia costituisce da un lato un rifugio, dove Emily inizia a sperimentare le sue capacità narrative, dall’altro una specie di isola chiusa al mondo esterno.
Si sentono echi di film come Piccole donne, 2019 di Greta Gerwig e Miss Marx, 2020 di Susanna Nicchiarelli, dove la componente anti convenzionale è espressa anche, soprattutto nel secondo, sul piano stilistico. Qui viene sottolineata da una serie di stacchi improvvisi che la regista attua per tagliare i tempi morti e gettare lo spettatore in modo ellittico da una scena all’altra.
Se da un lato va sottolineata l’audacia della regista che ha dovuto confrontarsi, anche se indirettamente, con le versioni precedenti di Cime tempestose[1], dall’altra il film non sarebbe stato possibile senza la performance ineguagliabile di Emma Mc Makey, che riesce a declinare in tutte le sue sfumature questo personaggio così complesso e contraddittorio.
Note
[1] La prima versione di Cime tempestose è del 1939 per la regia di William Wyler; poi nel 1970 per la regia di Robert Fuest. Nel 1965 una versione RAI per la regia di Sandro Bolchi.