di Pino Moroni
Nel film Le otto montagne di Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch c’è molto di più che un racconto su un cogente rapporto tra l’Umanità e la Natura, che anima umana non ha, ma rimane pur sempre una parte viva del nostro mondo, pianeta terra. Su questo rapporto conflittuale ed indissolubile tra Uomo e Natura è costruita una delle tematiche più poliedriche ed inesplicabili del pensiero e dell’agire umano.
Le cime delle montagne hanno sempre attirato ed affascinato l’uomo, da quel terricolo dell’età del rame ritrovato sulle montagne di Otzal, preceduto e seguito da altri ominidi, fino alla ‘conquista’ (una grande illusione) delle più alte vette del mondo, fino ad arrivare alle vacanze organizzate sull’Himalaya.
Ma il film Le otto montagne (tratto dal libro omonimo di Paolo Cognetti e prodotto da Italia, Belgio, Francia), che ha già vinto premi prestigiosi come Il premio della giuria a Cannes e quattro premi importanti ai David di Donatello, va oltre quella ossessione dell’uomo di raggiungere vette vicino al cielo, e riesce a penetrare invece le profondità nascoste e psicanalitiche dei rapporti-scontri tra generazioni ed ancor di più i labili confini delle grandi amicizie tra ‘uomini’.