Bianca: una commedia grottesca che si tinge di giallo.
di Letizia Piredda
Come i precedenti film di Moretti, anche Bianca inizia come una commedia. Ma una commedia grottesca che si caratterizza da subito per due elementi: l’ossessione per le relazioni di coppia e l’atmosfera surreale che avvolge la scuola “Marylin Monroe” dove Michele, il protagonista, insegna.
L’ossessione per le relazioni di coppia lo porta a continui pedinamenti, appostamenti per spiare gli amici, i vicini, le persone che lo circondano. E il suo comportamento è soggetto a continui acting-out [1]: butta giù dal balcone i piatti invasi dalle formiche, fa cadere la pianta perché non si capisce se vuole più acqua-meno acqua, più sole-meno sole, si lancia sopra una ragazza che sta prendendo il sole sulla spiaggia.
Ed è proprio l’acting-out una delle componenti alla base della sua comicità: un adulto impara ad inibire le fantasie in base a una serie di regole morali, individuali e sociali, che vengono man mano interiorizzate. Il suo alter ego, Michele Apicella, che resta imprigionato a una fase adolescenziale, non si trattiene e agisce le fantasie, forzando, inaspettatamente, il divieto a cui dovrebbero sottostare, e suscitando di conseguenza la risata dello spettatore che inconsciamente vorrebbe imitarlo.
Gli appostamenti e gli Acting-out
Lo humour morettiano si avvale anche di altri due elementi fondamentali: l’iperbole e il paradosso. Chi ha visto Bianca magari non ricorda la trama, ma ricorda sicuramente due cose: l’enorme vaso di Nutella, dove lui attinge di notte, per compensare la frustrazione di fronte alla sua incapacità di accettare la relazione con Bianca; e la battuta che ha fatto epoca: “Continuamo così, facciamoci del male!” quando il padre del suo alunno, a pranzo, confessa di non conoscere la Sacher torte. Ecco il primo è un esempio di iperbole, il secondo invece è un esempio di paradosso.
Il vaso di nutella (l’iperbole) e la Sacher torte (il paradosso)
A un certo punto la commedia grottesca ha una svolta impensabile: diventa un thriller. Un indizio ci mette sull’avviso ed è il richiamo evidente a La finestra sul cortile, il giallo più celebre della storia del cinema: la scena in cui Michele spia i vicini di fronte e scopre il tradimento della ragazza con l’amico, mentre il fidanzato è in un’altra stanza, è tutta girata seguendo i canoni hitchcockiani.
I vicini
La cosa particolare che succede in Bianca è che ci troviamo di fronte a un film di autore che si confronta o meglio immette al suo interno alcune convenzioni di genere. Ma il richiamo a queste ultime ci sembra spropositato rispetto a quello che succede: il bacio furtivo della ragazza all’amico, mentre il fidanzato sta in un’altra stanza, non ci sembra suscettibile di conseguenze drammatiche. Quando ci troviamo di fronte al primo assassinio, la ragazza dell’appartamento di fronte è stata uccisa, restiamo spiazzati e increduli, ma non veniamo neanche sfiorati dal dubbio che Michele possa avere qualcosa a che fare con quell’omicidio.
Si perché il film si muove in forma antitetica: da un lato chiede allo spettatore di identificarsi con le manie di Michele Apicella, che vengono condotte in modo ironico, vedi la gag della Sacher Torte, dall’altro nasconde al suo sguardo i risvolti drammatici delle sue ossessioni, per poi spiazzarlo con una realtà drammatica impensabile, imprevedibile, scioccante.
Ma in che modo avviene il passaggio da quelle che sembrano ossessioni abitudinarie a veri e propri atti criminali, da una nevrosi generalizzata alla follia conclamata?
A portarlo a un gesto così grave e imprevedibile sarà proprio la sua ossessione sulle relazioni di coppia. Sì, perché questa morbosità verso i rapporti amorosi poggia su un assunto psicologico adolescenziale: l’amore deve essere perfetto, assoluto, non può andare soggetto a tradimenti, e soprattutto non può finire, deve durare per sempre. Per questo Michele deve controllare tutti i movimenti delle coppie di
amici, e intervenire più volte per far riconciliare quelle che si stanno separando, ma tutti i suoi tentativi sono fallimentari. E quando lui stesso si trova coinvolto in un legame sentimentale, quello con Bianca, non facciamo in tempo a metterlo a fuoco che improvvisamente decide di troncarlo “tanto tu prima o poi mi lascerai…io mi devo difendere”, “a che serve tutto questo dolore? A te sembra giusto? A me, no”. Sembra proprio che Michele si fermi sulla soglia dell’essere senza riuscire a fare il passo decisivo per vivere.
Non potendo cambiare i suoi simili e non potendo condividere la sua vita con loro, Michele, come ultima risorsa, li elimina.
In questa dinamica la prospettiva del carcere non viene vissuta in nessun modo come una prospettiva punitiva e limitante, anzi assume un ruolo liberatorio: infatti lo spazio chiuso di una cella metterà fine a questo suo incessante e tormentato controllo sulla vita amorosa degli amici e alle domande ossessive sul suo rapporto con le donne.
Gli resta un solo rimpianto, come dirà prima di salire sul cellulare della polizia: “E’ triste morire senza figli”.
Note
[1] Il termine Acting out , letteralmente “passaggio all’atto”, è un termine psicoanalitico che indica l’insieme di azioni aggressive e impulsive utilizzate dall’individuo per esprimere vissuti conflittuali e inesprimibili attraverso la parola e comunicabili solo attraverso l’agito.