di Pino Moroni
Clint Eastwood interprete di 63 film, regista di 45, produttore di 63 e compositore di 20 colonne sonore, sta lavorando al suo ultimo film (Giurato n.2), prima del suo ritiro a 93 anni.Eastwood ha iniziato con la serie western Gli uomini della prateria negli anni ‘50. Dopo la trilogia del dollaro di Sergio Leone negli anni ’60 (Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più, Il buono, il brutto, il cattivo) ha continuato a girare western in America (Impiccalo più in alto, Il cavaliere pallido, Joe Kidd, ecc.) alternando i film con quelli sull’Ispettore Callaghan (Il caso Scorpio, 44 Magnum, Cielo di piombo, Calibro 20) diretti da un altro maestro Don Siegel.
Poi diventato regista, forte della sua esperienza ha vinto gli Oscar con Gli spietati e con Million dollar baby, dirigendo anche altri capolavori come Mistic River, I ponti di Madison County e Gran Torino.
Quindi ha iniziato a filmare le sue personali tematiche sul cinema civile, raccontando storie di gente comune resasi eroica nella quotidianità (Sully, pilota d’aereo, Richard Jewell, guardia giurata, American Sniper, soldato in Iraq, 15.17 Attacco al treno, tre soldati ed un attentato, The mule, mite contrabbandiere, ecc.). A questi ha aggiunto i biopic su Charlie ‘Bird’ Parker, i Jersey Boys e Edgard Hoover (direttore dell’Fbi).
In alto a sn I ponti di Madison County, a dx Million dollar baby. Sotto a sn Mystic River, a dx Gran Torino
Ma il film più fuori dai suoi schemi di pistolero, ispettore ed attento osservatore di eroi comuni tra la gente è Hereafter (L’aldilà) di cui Steven Spielberg aveva comprato il soggetto e Eastwood ha girato nel 2011 il film su un gruppo di storie e personaggi che si incontrano per effetto delle loro esperienze sensoriali con la morte e per effetto del caso fortuito. E’ un film unicum nel suo genere e vale la pena ricordarlo nel momento della fine della sua cinematografia.
Per Hereafter di Clint Eastwood (2011) si parla ancora se il vecchio, ma sempre vigoroso regista abbia più o meno parlato dell’aldilà, usando le astuzie del paranormale o se si sia attenuto a sicuri accertati fatti scientifici. E forse alla fine, con una ingegnosa sceneggiatura di Peter Morgan (The queen), ricavata dagli studi approfonditi e pubblicati sui malati terminali di una psicologa svizzera, la dottoressa Elisabeth Kubler -Ross, si è servito di entrambi.
Ma un aspetto del film non è stato ancora esaminato: quanto, questo ormai riconosciuto grande regista, si sia avvicinato, con la sua opera, alle filosofie della complessità. La complessità è una scienza nata negli anni ’70 (Edgar Morin e Ilya Prigogine), quando si è scoperto che tutto ciò che ci circonda è complesso (il mondo, la natura, la società, la politica, la finanza, l’amministrazione, la sanità, la scuola, la famiglia, la morte, incluso lo stesso essere umano), in contrasto con il modo di pensare tradizionale, dominato da logiche lineari e dalla visione troppo semplificata della realtà. Teorie diverse, all’interno di questa scienza complessa, si sono moltiplicate. Improvvisamente i limiti di prevedibilità di un sistema sono diventati limiti teorici (“Principio di indeterminazione o caso fortuito di Heisenberg”).
Il concetto di ‘Caos’ ha conquistato migliaia di scienziati e persone comuni, è finito sulle riviste e sui rotocalchi. La teoria del caos ha portato idee nuove nell’ordinato mondo scientifico tradizionale, scardinando certezze acquisite. L’ “Effetto farfalla” di Edward Lorenz ha moltiplicato piccole cause, che per vie misteriose ed insondabili si amplificano in modo imprevedibile e provocano i loro effetti anche a grandi distanze nel tempo e nello spazio del pianeta terra. Il “concetto di incertezza” del quotidiano trova una sua estensione antropologica fino ad intaccare il libero arbitrio. La libertà e le scelte personali sono condizionate da contesti tanto lontani e diversi, in cui altri individui nascono, vivono, muoiono. Le concatenazioni di eventi che collegano ogni storia ad un’altra fanno ricadere conseguenze sulle altre. Ma tutte queste convivenze e facilità di comunicazione in un mondo globale, presuppongono tanta diversità e difficoltà, che creano il rischio di sempre maggiori solitudini. “Hereafter” è uno dei film più attinenti a questo avanzato modo di pensare complessivo.
Inizia con un’onda anomala (lo tsunami), che si abbatte su una spiaggia turistica del sud est asiatico e finisce a Londra ad una fiera del libro (effetto farfalla). Le storie che si sviluppano e poi si congiungono sono quelle di una giornalista televisiva francese, di due ragazzi gemelli di Londra e di un sensitivo americano (panteismo universale). La giornalista Marie (Cecile De France) è in vacanza con il suo amante, regista televisivo. Prima di partire scende nel mercatino locale per comprare i regali per i figli di lui, che rimane invece in albergo (caso fortuito). La donna viene travolta dall’onda e, ormai quasi affogata, vaga con la mente in una dimensione biancastra e trasparente in cui le compaiono alcune fantasime. Riesce di nuovo a respirare e si riprende. Ma tornata a Parigi non sarà più la stessa. Lascia momentaneamente il lavoro per riposarsi, anche su consiglio dell’amante, cerca di scrivere un libro su Mitterand, ma inevitabilmente, perderà posto ed amante e scriverà (caos), dopo studi approfonditi, un libro importante per conoscere l’esperienza umana sull’aldilà.
Alcune immagini di Hereafter
I due gemelli, Jason e Marcus (Frankie e John McLaren), vivono in profonda simbiosi, anche per effetto di una madre assuefatta alla droga. Il primo, più responsabile e maturo, nel recarsi in farmacia, al posto del fratello (caso fortuito) viene travolto da un’auto. Marcus viene affidato ad una coppia, molto comprensiva, ma ruba loro dei soldi per poter comunicare con il fratello perduto, attraverso presunti medium, che possano creare un contatto. Si salva da un attentato alla metropolitana di Londra, per inseguire il cappello del fratello (caso fortuito), che porta sempre per sfuggire la sua solitudine. I genitori adottivi lo portano alla fiera del libro dove incontra George (Matt Damon), il sensitivo americano (indeterminazione) che gli riuscirà a trasmettere messaggi del fratello. Lui stesso farà rincontrare il sensitivo con Marie, la scrittrice francese, con la quale nascerà un amore. Il sensitivo americano si è recato a Londra per visitare la casa di Charles Dickens, da lui venerato (effetto farfalla), ed ascoltare le letture delle sue opere alla fiera del libro, incontra la scrittrice e conosce il suo libro sull’Aldilà. In una tale complessità di vita, con cui dobbiamo relazionarci ogni giorno, è importante che, chi lo può fare, usi i suoi mezzi divulgativi ed artistici (sistemi complessi), per aiutarci a capire le regole nuove di una umanità sempre più globalizzata e solitaria, ivi inclusa la scoperta di quell’ultimo confine tra la vita e la morte, ancora da studiare nell’ambito della nuova scienza della complessità. E Clint Eastwood lo ha fatto, con il suo cinema.
Grazie per questo prezioso articolo su uno dei film che più ho amato di Eastwood. Come ben dici è un caso unico e tra i capolavori del regista è poco citato. Credo ciò dipenda dal tema che imbarazza e soprattutto genera silenzio. Ogni volta che lo rivedo scopro nuove profondità dovute anche al grande lavoro degli attori. Cecile de France è la scelta perfetta. Inoltre è interessante che dei tanti film di Eastwood, sebbene non sia certo l più lieto e anzi sia pieno di toni oscuri, è forse tra i pochissimi che finisce non solo con il riscatto del singolo, ma addirittura con la grande tenerezza e l’amore tra i due protagonisti.