di Tano Pirrone
Sarah Kane, inglese, muore a ventotto anni compiuti da poco il 20 febbraio del 1999, suicida, vittima di una depressione senza fine, che la spinse a scrivere cinque opere teatrali, di cui quella in scena oggi all’Argot Studio[1], animata dalla bravissima Elena Arvigo[2], è l’ultima, eseguita postuma al Royal Court’s Jerwood Theatre Upstairs di Londra per la regia di James MacDonald il 23 giugno 2000[3]. Subito dopo aver completato questa sua ultima opera Sarah Kane fu ricoverata in ospedale psichiatrico a causa di un’overdose di sonniferi. Sfuggita ai controlli, la drammaturga inglese s’impiccò con i lacci delle sue scarpe.
La scheda di regia è illuminante del carattere dell’opera e dell’approccio avuto dalla direzione e dall’interprete nel realizzare la messa in scena: «4:48 Psychosis è una partitura lirica, una sinfonia sull’amore e sull’assenza di amore. Elena Arvigo da voce e corpo ad uno dei testi più controversi, assoluti e intimi del teatro contemporaneo mondiale.
4.48 Psychosis non aderisce alla forma teatrale convenzionale: la parola della Kane è flusso di pensiero: 24 quadri in cui non ci sono indicazioni per la messa in scena né temporali né psicologiche.
4:48 Psychosis descrive il luogo senza confini, senza le barriere che dividono la realtà dall’immaginazione.
Alcune scene di 4:48 Psychosis con la bravissima Elena Arvigo
4:48 Psychosis racconta la fragilità dell’amore, la ribellione dall’ordine costituito, la tenacia di fronte all’irrinunciabilità della speranza sentimentale.
4:48 Psychosis non è dunque l’ultima lettera di un suicida ma una preghiera, una richiesta di ascolto e di amore.
4:48 Psychosis perché viviamo in una società sorda, anestetizzata in cui non c’è spazio per emozioni così estreme, forti, devastanti. Una società che si ostina a “voler curare”, invece che “prendersi cura”. C’è bisogno di un teatro che risvegli “nervi e cuori” e questa lettura di 4:48 Psychosis non vuole essere uno spettacolo sulla follia ma uno spettacolo luminoso, un inno alla vita, nonostante la consapevolezza del suo essere effimera e sfuggevole riscoprendo così il senso vitale che abita ogni stato di dolore.
4:48 Psychosis porta alla luce il desiderio di speranza celato nel disagio, offrendo al pubblico l’opportunità di riscoprire il senso di compassione e umanità affinché la speranza diventi una possibilità mai più tradita. La materia è luminosa, perché, dove c’è amore, lì c’è vita. La follia non è “degli altri”. Nessuno è escluso. Come dice Alda Merini: “La follia è la mancanza di qualcuno d’importante”. La messa in scena è stata il risultato di un pas de deux tra regista e attrice rivolto a ogni elemento della messa in scena porta alla luce il desiderio di speranza celato nel disagio, offrendo al pubblico l’opportunità di riscoprire il senso di compassione e umanità affinché la speranza diventi una possibilità mai più tradita.»
La conferma alle note di regia è venuta dalla partecipata interpretazione di Elena Arvigo, imprigionata in una claustrofobica scena piena di vetri rotti, simbolo inequivocabile della frantumazione irrecuperabile del dentro di sé. Voce e corpo, stasi e movimento armonicamente intrecciati con la musica e il religioso silenzio dei privilegiati. Artista unica creata per triangolazioni magiche fra autori di poesie dannate, pubblici desiderosi di ritrovare il teatro e il suo senso, l’artista medium che ciò permette.
Interrotti gli applausi, l’attrice ha ricordato l’inizio, la prima di 4:48 Psychosis, tredici anni fa, proprio lì, nel piccolo teatro Argot e il cammino fatto insieme (215 repliche): «Dunque la storia dell’Argot è una storia di emozioni, di scoperte, di imprinting e di scelte (e ricordi) di nuova sensibilità.»
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NOTE
- Via Natale del Grande, 27 – 00153 Roma – Tel 06.5898111 – info@teatroargotstudio.com
- Elena Arvigo nasce e cresce a Genova ed è considerata una delle più intense interpreti della scena contemporanea e tra le esponenti più interessanti del teatro indipendente italiano.
- Sarah Kane fu autrice anche di una sceneggiatura per il cortometraggio Skin (1995) diretto da Vincent O’Connel.