Pirandello e il cinema, un rapporto complesso#2

I Taviani e il Caos pirandelliano

a cura di Tano Pirrone

Sono ben 38 i film ricavati da opere di Pirandello o da soggetto originale; si va dal 1920 (Il crollo di Mario Gargiulo) fino all’ottima ultima fatica di Roberto Andò, La stranezza, 2022. Negli ultimi tre decenni (dal 1984 ad oggi) sono 11 i film che fanno capo all’opera dell’Accademico d’Italia, e di questi ben tre sono opere dei  fratelli Taviani, mentre Marco Bellocchio e Michele Placido firmano due titoli a testa. Le opere singole appartengono al grande regista romano Mario Monicelli (Le due vite di Mattia Pascal, 1985, soggetto cui dedicheremo un’intera puntata, affiancandogli l’altra grande realizzazione del cinema muto sotto la direzione di Marcel L’Herbier, Il fu Mattia Pascal, 1926), al regista della Nouvelle Vague Jacques Rivette[1] (Chi lo sa?, 2001) e a Piero Messina [2](L’attesa, 2015, ispirato a La vita che ti diedi).

«Io […] sono figlio del Caos; e non allegoricamente, ma in giusta realtà,
perché son nato in una nostra campagna,
che trovasi presso ad un intricato bosco denominato,
in forma dialettale, Càvusu dagli abitanti di Girgenti (Agrigento),
corruzione dialettale del genuino e antico vocabolo greco Kaos»
Luigi Pirandello

I fratelli Paolo e Vittorio Taviani firmano insieme il suggestivo Kaos, 1984, e il meno convincente Tu ridi, 1998, entrambi adattamenti da Novelle per un anno; l’ultimo, Leonora addio, del 2022, firmato dal superstite Paolo, ha lo stesso titolo di una delle Novelle per un anno (Leonora addio del 1910), ma nei fatti parla della morte di Luigi Pirandello, avvenuta nel 1936, e del rifiuto “diplomatico” del regime fascista, che non concede alle sue ceneri di essere riportate nella natia Agrigento, dove Pirandello avrebbe voluto essere tumulato in una roccia in piena campagna, venendo invece inumato in un loculo del cimitero del Verano. Dopo la Liberazione, nel 1947, con l’approvazione del presidente del Consiglio dei ministri Alcide De Gasperi, un funzionario agrigentino fu incaricato di scortare l’urna cineraria da Roma alla Sicilia. Una volta a Palermo, le ceneri vennero omaggiate con un secondo funerale, col seguito di numerosi studenti universitari con la rituale feluca, senza però essere tumulate come espresso nelle ultime volontà di Pirandello. Sarà solo nel 1951, quindici anni dopo la morte che le ceneri raggiungeranno la loro destinazione, incorporate in una roccia della campagna agrigentina.

I luoghi di Pirandello: la casa e il sepolcro

Triste sorte per un uomo come Pirandello, di cui sono conosciute le ultime volontà relative alle proprie esequie:
«Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici preghiera non che di parlarne sui giornali, ma di non farne pur cenno. Né annunzi né partecipazioni. Morto, non mi si vesta. Mi s’avvolga, nudo, in un lenzuolo. E niente fiori sul letto e nessun cero acceso. Carro d’infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m’accompagni, né parenti, né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta. Bruciatemi. E il mio corpo appena arso, sia lasciato disperdere; perché niente, neppure la cenere, vorrei avanzasse di me. Ma se questo non si può fare sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti, dove nacqui».

A sn: Kaos,1984 e L’attesa, 2015 A dx: Luigi Pirandello e Tonino Guerra

L’uomo che aveva passato la vita a raccontare le infinite sfaccettature dell’esistenza umana, di quell’una, nessuna, centomila vite che ci sono concesse, colui che aveva indagato i mille volti di una stessa verità, decide di compiere l’ultimo passo in silenzio, chiudendosi la porta alle spalle, senza un saluto, senza un’attenzione né una premura.
La seconda parte di Leonora addio, senza apparente nesso con la prima, è legata invece all’ultima novella del drammaturgo siciliano, scritta prima di morire: Il chiodo. A New York, nel quartiere di Harlem, un ragazzo uccide, senza evidenti motivi, Betty, una bambina che neanche conosce, durante una rissa accesa “apposta” con un’altra bambina di poco più grande. La vittima viene da lui colpita a morte con un grosso e lungo chiodo, caduto “apposta” da un carretto. Il processo si concluderà con un’assoluzione. La novella fa parte della raccolta Una giornata, quindicesima ed ultima parte di Novelle per un anno. Kaos, di trentotto anni più vecchio, inizia con la scena con cui anche Il chiodo inizia: il piccolo Bastianeddu costretto dal padre a seguirlo “allamerica”, lasciando la madre ed il suo piccolo mondo. Quell’apposta è il segno evidente del destino, ineluttabile , che giuoca con le vite degli uomini come se essi fossero burattini, senza voleri, senza forza, senza conclusione. Se non quella di un lungo inutile e ingiusto pentimento lungo una vita. Una delle tante condanne che agli esseri umani vengono inflitte dal Caso (…dal Kaos?)
Il film è diafano, ha una trasparenza che sfiora la banalità, ma che si rivela essere solo inevitabile tragica semplicità: sottolinea con garbo e quanto più distacco possibile l’evidente autobiografismo per la morte del fratello maggiore Vittorio, cui il film è dedicato, e che in simulacro è presente in tutto il film. L’avventuroso trasferimento delle ceneri del premio Nobel da Roma alla campagna natia è un modo di celebrare e onorare il lungo cammino comune, umano, civile ed artistico. La seconda parte del film, quella che si riferisce a Il chiodo sta agli antipodi, come presupposto teorico/poetico, mettendo in scena un rapporto diretto, violento, incomprensibile con la morte (e ancor prima con la vita), una volontà fatale, per marchiare una vita già bruciata fuori da ogni volontà. In un certo senso, questo film Paolo Taviani non lo ha fatto da solo, Vittorio era presente e abbiamo avuto modo di sentirlo ed apprezzarlo.

È il 1984. Bellocchio sta girando Enrico IV con Mastroianni[3]. I fratelli sanminiatesi impastano il Kaos con assortiti materiali di prima scelta, e danno l’addio ad una coppia storica del nostro cinema popolare: Franco Franchi & Ciccio Ingrassia[4].
Le ali nere di un corvo, vittima della cattiveria oscura di pastori senz’anima, inferiori per condanna ai liberi animali, sovrastano la scena e il campanello, legato al tozzo collo dell’uccello da uno dei pastori, suona bizzarramente e incute terrore. Sotto, legati alla terra, uomini e donne avvoltolati nei loro dolori, avvelenati di rabbia e sofferenza, trascinano la loro sofferenza. Traducono bene in immagini il senso della poetica pirandelliana e scelgono sapientemente tracce e protagonisti, dando a ciascuno il suo. Ed il poeta Tonino, sempre pronto a prove del genere, fa del suo meglio con la sceneggiatura: non c’è pace senza Guerra.

Kaos è composto da quattro episodi nell’edizione cinematografica e da cinque in quella televisiva (Rai), preceduti in entrambe le versioni dal prologo del corvo. Nella versione televisiva, prodotta in Dvd e diffusa a suo tempo da RaiTrade e Corriere della Sera, è stato aggiunto il breve episodio Requiem, dove un vecchio pastore, fingendosi morto, ottiene astutamente il diritto per sé e per i suoi, a un piccolo camposanto; come dire, bisogna morire per poter morire?
Gli altri racconti sono: L’altro figlio, Mal di Luna, La giara e l’Epilogo: colloquio con la madre, girato tra Lipari e l’isola di Salina, che mostra Pirandello che parla al fantasma di sua madre di una storia che avrebbe voluto scrivere, ma non l’ha fatto.

La scelta e la direzione degli attori e i risultati finali furono felicissimi. I premi conquistati avrebbero potuto essere di più e ancor più significativi: l’ottimo lavoro fatto lo meritava. Noi, oggi, possiamo rimediare, almeno in parte, e per ciò che sono i nostri poteri di spettatori, rivederlo con calma e rileggere, possibilmente, le novelle, sfuggendo, così, al malsano invito di piattaforme deformate e deformanti.

NOTE

  1. Jacques Rivette (Rouen, 1 marzo 1928 – Parigi, 29 gennaio 2016). È stato un regista e critico cinematografico francese, esponente della Nouvelle Vague. Si appassionò sin da giovane di cinema. Si trasferì a Parigi nel 1949, dove frequentò assiduamente lo Studio Parnasse, il Cineclub du Quartier Latin e la Cinémathèque Française dove conobbe François Truffaut, Jean-Luc Godard, Éric Rohmer, André Bazin e Suzanne Schiffman. Nel 1953 iniziò a scrivere sui Cahiers du cinéma e ne divenne caporedattore nel 1963 sino al 1965. Con L’Amour fou (1969) affrontò tematiche contemporanee e riflessioni esistenziali, quasi un cinema verità sulla vita di una coppia. Con una durata di 4 ore e mezzo che ne impedirà la normale distribuzione, Rivette diventò sempre più uno di quegli autori lodati dai critici e visti da poco pubblico.
  2. Piero Messina. Regista, sceneggiatore e musicista, nato nel 1981 a Caltagirone (Sicilia). Realizzatore soprattutto di cortometraggi, nel 2015 gira il suo primo lungometraggio, L’attesa, con protagonista Juliette Binoche. Il film è stato presentato in concorso ufficiale alla 72ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e al Toronto Film Festival. Grazie a questo film, Piero Messina ha vinto nel 2015 il Globo d’oro come miglior regista esordiente.
  3. Dedicheremo la prossima puntata a questo film, mettendolo a confronto con l’omologo di Giorgio Pàstina del 1943. E per rimanere nell’alveo bellocchiano tratteremo il misuratissimo film del 1999 La balia, risolto col massimo rispetto dei tempi e delle misure teatrali pirandelliane.
  4. I due comici partecipano insieme all’ultimo dei 112 film, che li hanno visti protagonisti, a partire, ventiquattro anni prima da Appuntamento ad Ischia, voluti da Modugno per il suo film; erano, invero, in ottima compagnia: oltre la nostra coppia e Domenico Modugno, il nutritissimo cast annoverava Antonella Lualdi, Carlo Croccolo, Paolo Ferrari, Mina, Pietro De Vico, Linda Christian, Pippo Franco e Franco Califano.
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Sono nato in provincia di Siracusa, a Francofonte, l’antichissima Hydria dei coloni greci, quaranta giorni prima che le forze alleate sbarcassero a Licata. Era il 14 maggio 1943. Ho frequentato il liceo classico, ma non gli studi per giornalista, cui ambivo. Negli anni ’70 ho vissuto due lustri a Palermo, dove ho lavorato in fabbrica, come impiegato amministrativo- commerciale. Nel 1981 mi sono trasferito a Roma per amore di Paola, oggi mia moglie. Sono stato funzionario commerciale e Project Manager nel Gruppo Marazzi. Infine consulente d’azienda per Organizzazione Aziendale e Sistemi Qualità. Curo le piante della mia terrazza, vedo gente, guardo film e serie tv, vado a cinema e a teatro, seguo qualche mostra; leggo, divagando e raccogliendo fior da fiore, e scrivo di cinema, libri e teatro per Odeonblog; di altre cose per me stesso. Ho pubblicato anche su Ponza Racconta, Lo Strillo, RedazioneCulturaNews ed altri siti di cinema e teatro. Ho due figli, Francesco e Andrea, ed avevo un cane, Bam, che sta sempre con me dovunque io vada. Sono faticosamente di sinistra; sono stato incendiario ed ora dovrei essere ragionevolmente pompiere.
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