di Lorenza Del Tosto
È uno splendido novembre a Roma e la natura, attorno alla Casa del Cinema, è tutta un’esplosione di gialli e di rossi, l’aria è frizzante e il cielo è nitido. Si potrebbe essere felici, si potrebbe proporre a chi ci è seduto accanto: “Scendiamo a prendere qualcosa al bar e mi racconti le tue impressioni sul film appena visto”.
O potremmo restare a chiacchierare in sala in attesa che inizi il prossimo film del Balkan Film Festival .
Invece, finita la proiezione di Quo Vadis Aida, che ha aperto la 5a edizione del festival, il pubblico si sta riversando fuori e ora sosta nello spazio antistante, stringendosi nei cappotti, con il cuore pesante e lo sguardo perso. Non sa come riprendere fiato il pubblico: parlare del film è troppo doloroso e troppo doloroso anche ignorarlo. La regista Jasmila Žbanić lo ha detto poco fa: “Il cinema ha un potere enorme: ti mette dentro l’esperienza: non è come leggere i giornali e neanche come guardare un documentario. Un film ti entra nel cervello, negli occhi, attecchisce sotto la pelle e fa di te un essere umano diverso”.
E ora che Quo Vadis Aida gli è entrato sotto la pelle, il pubblico, all’uscita, la cerca con gli occhi:
“Ma la regista è andata via? Non torna?” – chiede qualcuno, come se l’autrice, con la sua sola presenza, potesse portare conforto e magari dare un senso alle cose. Estirpare sul nascere l’odio che riaffiora e il malessere che squassa
Ma a quanto pare Jasmila tornerà solo domani.
“D’altronde cosa vuoi chiederle?” Dicono due signore, una bosniaca, l’altra croata di Spalato che hanno gli occhi umidi e intanto si accendono una sigaretta. C’è anche un’altra signora che è serba, ma lei non dice niente.
Avevamo già visto Quo Vadis Aida in concorso alla 77 a Mostra del Cinema di Venezia, nel 2020.
Racconta la strage di Srebrenica del luglio 1995. Con i Serbi che entrano nella Safe Zone dichiarata dall’ONU e i caschi blu che, invece di rispondere con un raid aereo come minacciato in caso di violazione, preferiscono non dare fastidio ai Serbi. E li lasciano entrare a fare strage dei bosniaci musulmani.
Nel glamour del Lido, il film ci era arrivato al cuore, ma non lo aveva dilaniato come adesso. Ripensiamo alla pavidità dei caschi blu olandesi, e proviamo repulsione e odio proprio mentre cerchiamo di convincerci che l’odio è un orrore inutile, e rivediamo l’unico flashback del film dove i bosgnacchi (bosniaci musulmani – ndr) ballano in cerchio ad una festa di paese e i loro sguardi, come dolenti poemi, ci dicono: guarda chi ero, guarda come vivevo.
Quo Vadis Aida, 2020 di Jasmila Žbanić
“Oh essere in concorso a Venezia è stato incredibile!” – Ha detto Jasmila Žbanić, bosniaca, e i suoi occhi brillavano. Ma ora, lontano dal glamour del Lido, la sala piccola e il silenzio di novembre non offrono scampo al dolore di questo film meraviglioso.
In apertura di Festival, si è parlato delle tante donne cineaste presenti nei Balcani. Il Kossovo, in percentuale, ne ha il numero più alto al mondo. Nella scorsa edizione molte registe kossovare erano sedute, in sala, a parlare dei loro film intensi, forti: donne giovani, a volte giovanissime, con negli occhi una luce e talvolta un buio improvviso ma sempre pieno di profondità. Film che pochi vedranno, film che non si distribuiranno. Invece i film di Jasmila Žbanić una distribuzione, anche in Italia, l’hanno avuta.
Il segreto di Esma che ha vinto a Berlino.
E questo Quo Vadis Aida.
Rispetto alle registe kossovare dell’anno scorso, lei, originaria di Sarajevo, ha più dimestichezza con il successo e il grande pubblico, anche se la forza e la determinazione sono le stesse.
Alta, è molto alta Jasmila, ha la frangetta e i grandi occhiali e l’eloquio esuberante accanto al marito produttore, che l’accompagna, più basso di lei e silenzioso ma con lo sguardo intenso e vivo.
“Sono cresciuta con i film dell’ex Jugoslavia in cui una parte di me si riconosceva certo, ma c’era molto altro che stonava.” Ha detto cercando di spiegare il perché di tante donne cineaste nei Balcani. “Durante la pandemia ho detto a mia figlia: ecco approfittiamo e ti faccio vedere i migliori dieci film della nostra cinematografia. Bene cominciamo, ci vediamo cinque o sei film e un pomeriggio le propongo: continuiamo? E lei mi dice: francamente sarei un po’ stufa di donne violentate, uccise, decapitate. O grandi puttane o brave madri di famiglia. Non ci sarebbe qualcos’altro?” Mia figlia mi ha aperto gli occhi e ho capito cosa era a disturbarmi. Tra le donne serpeggia la rabbia per un’immagine che ci è stata imposta e ora abbiamo bisogno di raccontare la nostra versione delle cose”.
“Cosa l’ha ispirata in Quo Vadis Aida ?” – le hanno chiesto.
“Senz’altro l’ammirazione per le donne di Srebrenica che, a 30 anni dal genocidio, continuano a cercare le ossa dei loro cari: mariti, figli, cugini. Ora la vita a Srebrenica in apparenza è tornata normale, ma sotto la superficie si agita il passato. Ci sono ancora film che perpetuano i vecchi valori, il vecchio nazionalismo. Ho ammirato il coraggio di queste donne, la determinazione. Sono attivissime presso il Tribunale dell’Aia per cercare giustizia, per ritrovare le ossa dei loro cari. Ma non vogliono vendetta. Vogliono tornare alla convivenza pacifica. Sono delle sante moderne. Da qui anche il titolo del film, per dare ad Aida una forza biblica”.
“È stata difficile la realizzazione?”
“Molto difficile e piena di insidie, mi muovevo in un terreno minato. Con i sopravvissuti che hanno la loro idea di cosa avrei dovuto mostrare sullo schermo e i negazionisti, che hanno una voce molto forte, e per i quali nulla di ciò che racconto è successo davvero. Per prepararmi ho visto molti film di guerra, ma in tutti, anche quelli più apertamente contrari alla violenza, ho avvertito una forma sottile di compiacimento.” Scuote con amarezza la testa. “Io non volevo che ci fosse nessun compiacimento. Ho vissuto l’‘assedio di Sarajevo. So che non c’è nulla di bello nella guerra. Ho racchiuso il significato della guerra nella scena dove il soldato uccide la vecchia donna che sta cucinando, lei stramazza a terra, e la pentola continua a bollire sul fuoco mentre il soldato ruba in casa. La guerra è solo rapina, solo la banalità del male. Per dirla con Hanna Harendt.. Quando il film è arrivato nelle sale ero contenta. Ho pensato: che strumento meraviglioso il cinema per raccontare qualcosa che mai più dovrà ripetersi. Ero convinta che l’Europa avrebbe imparato la lezione.
Il mondo va avanti. Fa tanti progressi. C’è stata la pandemia e la scienza in poco tempo ha trovato i vaccini e l’essere umano ha imparato ad adattarsi in fretta a quanto succedeva.
Ci sono progressi ovunque, ma la vecchia cosa che non si riesce a fermare è l’odio.
So che ora Quo Vadis Aida viene visto alla luce di quanto sta succedendo in Ucraina. Lo spettatore dice: Ah, ma allora in Ucraina è questo che la gente sta vivendo. Ma io non sono per niente felice che il mio film sia ancora tanto attuale.” C’è un’intensità nella sua voce che è più forte di ogni parola.
Il pubblico riprende fiato davanti alla Casa del Cinema.
Mai spettacolo è stato più triste e più atroce di quell’entità mostruosa chiamata ONU che se ne è lavata le mani.
“E l’Onu ha visto il film?” le hanno chiesto.
“Ho cercato di organizzare delle proiezioni.” Ha risposto con ironia “Ma forse non ho insistito abbastanza, perché non ci sono mai state .Qualcuno alle Nazioni Unite mi ha aiutato a ricostruire i fatti. Questo sì. Non sapevano che pesci prendere. Non hanno dato prova di nessuna, nessunissima empatia nei confronti dei Bosniaci. Avrebbero potuto reagire, poco, ma qualcosa ancora avrebbero potuto fare, ed invece non c’è stata nessuna reazione. Vuoi per paura, vuoi per pregiudizio.
Se volete oggi è ancora peggio. Non si sente parlare di Nazioni Unite. Come se avessero ormai abbandonato l’idea che si possa essere United. Dalla sconfitta non hanno cercato di capire come migliorare le cose, piuttosto hanno preferito gettare la spugna”.
Jasmila è andata via, con la sua veemenza e il suo sorriso. E fuori si sta in silenzio. Si cerca di reprimere nel cuore il disprezzo per gli olandesi. Il disprezzo per i criminali di guerra. Il disprezzo per gli uomini che sono capaci di tanto. Ci si afferra alla magnifica attrice, al suo sguardo profondo e luminoso, alla forza che le permette di tornare a casa, senza più nessuno, e di tornare ad insegnare ai bambini una lezione di pace.
E per quanto sia difficile crederci alla pace, quel viso ci accompagna, il viso intenso, lo sguardo teso, il sorriso di Aida – Jasna Đuričić: Aida – piano piano ci entra sotto la pelle. Ci si stringe nei cappotti, si spengono le sigarette, ci si asciuga gli occhi e, insieme, decidiamo che è ora di tornare a casa. Un altro film stasera non lo vedremo. Ci è preso il desiderio e l’urgenza di tornare alle nostre case non violate, alle nostre famiglie non uccise. A proteggere con il sorriso di Aida ciò che al mondo ci è caro.
Vedi anche: Donne dei Balcani #2 Donne dei Balcani #3