Ultime immagini della Festa del Cinema

di Lorenza Del Tosto

Ora che la Festa del Cinema di Roma finisce e una notte, piena di luci, scende  sul tappeto rosso e la cavea deserta dell’Auditorium, dalla nostra scatola dei ricordi  affiora la foto di Melissa Newman che ha gli occhi chiari e ridenti, un poco malinconici, di suo padre. È venuta a presentare la magnifica docuserie The Last Movie Stars sul connubio amoroso e professionale dei suoi genitori Paul Newman e Joanne Woodward. Esuberante Melissa risponde alle domande della stampa: la scelta di Ethan Hawke come regista, la vastità del materiale che si prestava più ad una serie che ad un film, il ritrovamento delle trascrizioni di cassette registrate da suo padre di cui molte sono andate misteriosamente perdute, forse bruciate, ma quando, a bruciapelo, le chiedono: come è stato vivere  con due genitori di quel calibro Melissa Newman si guarda attorno ridente e smarrita:

Melissa Newman, l’intervista su The Last Movie Stars, la docuserie sui suoi genitori Paul Newman e Joanne Woodward

“Cosa c’entro io?” Dicono i suoi occhi. La produttrice,  amica di famiglia, Emily Watchel, la invoglia, la pungola: “Anche tu sei un’artista, anche tuo figlio…” e lei schermendosi ammette che sì: è cantante jazz, ma per carità solo per le serate nei ristoranti, e anche suo figlio è nella musica, certo, e… subito torna a parlare di suo padre, Paul Newman, che la mattina preparava dei toast che offriva come se fossero caviale e faceva un caffè terribile e giocava con le cassette di sabbia con i nipoti.  Ricordi che si affretta ad allineare, attenta a non intaccarli con la banalità del suo presente.

A che serve parlare del presente? Paul Newman non c’è più. Joanne Woodward vive accanto a loro, è una donna anziana e malata di cui bisogna prendersi molta cura.

Melissa Newman non è qui per parlare di sé. A maggior riprova “Guardate” dice ai giornalisti. Si alza e si mostra nello splendore del suo lungo abito nero. Lo sfoggiava Joanne Woodward la notte degli Emmy. Protesa in avanti mostra gli orecchini di pietre scintillanti: gli stessi che sua madre indossava quella notte. Con una piroetta dispiega lo scialle leggero che le avvolge le spalle: sembra una pellicola in bianco e nero con impressi  volti e scene dei film dei suoi genitori.
Abiti per nascondersi e sparire.  
Più tardi, al bar, suo marito è con lei, alto e sorridente, un signore garbatissimo con gli occhiali e un occhio ballerino.
“Mio marito si prende molta cura di mia madre.” Mormora Melissa Newman in un momento in cui lui non l’ascolta.
“È una bella cosa.”
“È incredibile” ripete sorpresa  “ora che è in pensione, va a trovarla sempre, e non solo lei… si occupa di tante gente anziana.”
Scuote la testa con gli occhi malinconici e luminosi del padre. Si afferra al marito che le fa un gesto gentile per dirle che è ora di rientrare: il pubblico di nuovo l’aspetta per sapere della sua vita privata che lei troverà il modo di non raccontare.  

Altrove un’altra donna si nasconde: scivola nei corridoi cercando di non dare nell’occhio. Marisa Paredes è in giuria alla Festa. Non si mostra mai tranne una sera: silhouette minuta in tailleur pantalone nero, sulla giacca inserti preziosi di pietre luminose, gesti di grande finezza, occhi chiari e un sorriso caldo come le mani che stringono quelle di chi la riconosce. Suo marito l’accompagna, quasi a proteggerla: alto, una grande chioma bianca, una corrente scorre intima tra loro, mentre lui la guida nella sala dove presenterà la versione restaurata di Tacchi a spillo, il film di Almodóvar che le ha spalancato le porte del cinema internazionale. Non deve essere facile rivedersi nella propria immagine di tanti anni fa, soprattutto se sei attrice e ora gli anni sono passati e tanta parte di vita non c’è più. Ma lei siede davanti al pubblico, più che accomodarsi sfiora la sedia, e dalle sue poche parole,  i suoi ricordi del film, sprigionano grazia, eleganza. Infinita riconoscenza.

Marisa Paredes in Tacchi a spillo, 1991 di Pietro Almodòvar

“Nel nostro lavoro bisogna avere fortuna. E io l’ho avuta. Il regista giusto, il ruolo giusto, la musica di Sakamoto, il montaggio. Il bolero bellissimo e struggente Piensa en mi. …Mi ha accompagnato tutta la vita“ Sorride al ricordo “La gente mi vedeva per strada a Parigi, mi sorrideva e  cantava Piensa en mi.
Eppure non c’è rimpianto per ciò che è passato, per la giovinezza trascorsa. Come se la gloria l’avesse alimentata di miele e avesse fatto del suo corpo minuto lo scrigno di un tesoro fatto di voci di donne.
“Pedro dice che l’anima femminile è più complessa, più ricca di luci e di ombre. Le donne raccontano storie che lui usa per raccontare la sua storia e lo stesso faceva Federico Garcia Lorca. L’arte ha offerto rifugio alle donne che si ribellavano alla sottomissione. Le attrici trovavano nel lavoro ciò che nella vita non era loro concesso.” Conclude con dolcezza, e ora che la sua giovinezza  torna a scorrere sullo schermo, lei si allontana e con passo felpato raggiunge l’ uomo che, nel buio del corridoio, accoglie la sua fragilità, lo scrigno di voci chiuso nel suo corpo.  

Nell’ultima foto ci sono gli occhi di Rodrigo Sorogoyen. Siede sotto un albero a Villa Borghese  e risponde ai giornalisti, pochi, venuti ad intervistarlo. Il suo film As Bestas, uno dei più belli della festa, non è in concorso perché è già uscito a Cannes. Presto uscirà in Italia e ne parleremo. Per ora ci sono i suoi occhi pieni di schegge di luce che riflettono il giallo delle foglie . Un genio Sorogoyen e passa inosservato, bassino e magro. Guarda un punto lontano, concentrato a trovare risposte in una storia ispirata a fatti reali. Un crimine ambientato nella società rurale della Galizia.

Rodrigo Sorogoyen e il suo film Las bestas, 2022

“Perché la sua protagonista fa quello che fa?” Gli chiedono. 
Quando ha letto la notizia sul giornale anche lui ha continuato a chiederselo, la domanda gli scoppiava in testa. È sempre il bisogno di trovare una ragione a certi comportamenti umani a spingerlo a fare un film.
Una domanda ti ossessiona e tu scrivi e giri cercando risposte. Tante. Molte possibili. Nessuna certa.
È anche questo il senso del cinema, delle storie, fare domande, esplorare risposte.
Come le immagini della Festa che ci sono rimaste dentro. Perché? È davvero questo che volevano dire i volti che ricordiamo? O un giorno, ritrovando queste foto, vi leggeremo altro? Non è forse la nostra  memoria, come un film, la lunga ricerca di una risposta?  

Informazioni su Lorenza Del Tosto 29 Articoli
Lorenza Del Tosto Vive a Roma con le sue figlie e il gatto Leo. Interprete di Conferenza free lance. Tra le sue passioni: le serate di chiacchiere con gli amici, il cinema, la letteratura e l’Aikido. Ha una rubrica Lost in Translation con ritratti di attori e registi per cui lavora. Ha vinto un’edizione del Premio Loria per racconti inediti ed è arrivata finalista in altri concorsi letterari.
Sottoscrivi
Notificami
guest
1 Comment
Il più vecchio
Il più recente Il più votato
Feedback in linea
Visualizza tutti i commenti
Pino

Con due soli pezzi Lorenza Del Tosto è riuscita a fare un grande affresco di questa Festa del Cinema rinnovata e di grande successo. Dalla prima nel 2006 non è mai mancata con le sue interviste ed acute notazioni sui personaggi e sul contesto. Alla prossima. Grazie.