di Mirta Tealdi
Come si fa a superare e sopravvivere alla morte del proprio figlio, in più con l’aggravante di sentirsi in colpa perché responsabile di una svista che ha causato la disgrazia?
Taeko (una commovente e profonda Akiko Fumino) è una giovane madre divorziata la cui vita sembra scorrere tranquilla tra il secondo marito, Jiro e il figlio Keita. Sta organizzando i preparativi per la festa a sorpresa per il compleanno del suocero e i festeggiamenti per la vittoria di Keita come campione del gioco Othello.
Ma già gli elementi dissonanti cominciano a farsi strada in questa storia apparentemente semplice. Scorrono, sotto l’epidermide della finzione scenica, emozioni e sentimenti trattenuti e repressi. I suoceri scontenti di non avere ancora un nipotino “loro”, in quanto Keita è figlio del primo marito di Taeko, Park, sparito dalla vita di entrambi quando il bambino era molto piccolo, e ne fanno (in particolare il suocero) palese colpa alla giovane sposa. E poi, come in un moderno Kabuki, la tragedia è banalmente e fatalmente dietro la porta. La vita di Taeko va in frantumi e si blocca. Bloccata come la tastiera dell’Othello, (all’ultima mossa della partita giocata tra madre e figlio e scrupolosamente custodita) e che finirà per sostituire come metafora, la presenza/ assenza di Keito.
Alcune immagini del film
La bellezza di questo film sta nella quantità e profondità di elementi che si agitano e si addensano come nuvole grondanti tempesta in un cielo apparentemente calmo.
Il regista Koji Fukada già premiato al Festival di Cannes nel 2016 per Harmonium, nella sezione Un Certain Régard, mette in scena con sensibilità e sguardo attento alla psicologia dei personaggi, una storia di dolore, lutto, distanze difficili, quasi incolmabili. Il tutto con il rigore e la profonda sensibilità di uno stile asciutto e intimista. La tragedia scuoterà le fondamenta del rapporto dei due coniugi. Ma Sia Taeko che Jiro hanno un sospeso non risolto con i propri partner precedenti. E in modo analogo e quasi speculare, per ritrovare se stessi dovranno fare i conti col passato. Jiro incontrando nuovamente la donna che ha abbandonato per la moglie e Taeko con Park, il padre sordomuto di Keita, che con la sua rabbia iniziale, i modi sguaiati, e uno schiaffone alla ex, ne sblocca le emozioni, congelate dal dolore e dalla rigidità delle convenzioni sociali. Park è una figura ai margini, un egoista, pacifico e inaffidabile, che sarà però l’elemento fondamentale per aiutare la donna ad elaborare il lutto. Riuscirà Taeko sotto una pioggia purificatrice e catartica a riprendere in mano la propria vita e quella di Jiro? La risposta è nella melodia e nelle parole della famosa canzone Love Life, di Akiko Yano, che hanno ispirato il regista.
Love life, di Kōji Fukada Venezia 79 Fuori Concorso