Blonde Venezia 79

di Letizia Piredda

Un film molto discusso, Blonde, su cui pubblico e critica hanno espresso pareri discordi e addirittura opposti. Tratto dal libro di Joyce Carol Oates il film non è un biopic ma il racconto condotto su un duplice binario della star più iconica del cinema: Norma Jeane-Marilyn, impersonata da una bravissima Ana de Armas che supera una prova davvero impegnativa.
Una vita segnata quella di Norma Jeane: dalla malattia psichiatrica della madre, dall’abbandono del padre, dall’orfanotrofio. Ma il suo prorompente fascino sexy é stato il suo lasciapassare per diventare una delle stelle più luminose di Hollywood, e poi un mito: Marilyn Monroe. La dissociazione psicologica tra la fragile Norma Jeane e l’ascesa prepotente della bomba sexy Marilyn costituirà la base di una terribile ambivalenza, di uno squilibrio insanabile, presente in tutti gli eventi della sua vita affettiva: i matrimoni con gli uomini più disparati, i figli desiderati e poi abortiti, le sue performance di attrice, in una continua oscillazione tra fragilità, bisogno di affetto e rifugio onnipotente nel successo. Non esiste schermo, non esiste protezione dalla voracità maschile dentro e fuori il mondo del cinema, non esiste scelta. Solo il matrimonio con Arthur Miller costituirà  una breve pausa in cui Marilyn viene riconosciuta anche per le sue ambizioni culturali
( Cechov e Dostojevskij in primis). Ma poi tutto si richiude. La sua vita é una sconfitta continua: un soccombere agli appetiti più deteriori perché sempre e comunque per lei prevale il bisogno irrinunciabile, patologico, di sentirsi desiderata.

Alcune immagini del film

Ma Dominik va oltre: c’è una scena nella parte iniziale del film in cui le colline di Hollywood vanno in fiamme: la macchina Hollywood brucia con i suoi barocchismi, i suoi ingranaggi di potere, i suoi pedaggi sessuali, i suoi miti che schiacciano l’individuo. Quello che interessa al regista è la decostruzione del mito di Marylin per arrivare alla persona, come già aveva fatto molti anni prima, nel 2007, nel crepuscolare L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford.
Luci e ombre del personaggio Norma Jeane-Marilyn espresse anche visivamente con una splendida alternanza tra bianco e nero e colore; le luci incessanti che si susseguono durante i ripetuti assedi dei fotografi, le ombre crescenti del malessere esistenziale che l’attanaglia. Dominik fa addirittura un’operazione atipica per sottolineare la manipolazione dello sguardo attuata dalla macchina cinema ma anche dal pubblico:  trasforma le immagini più iconiche di Marilyn in sequenze animate, per dire che Marilyn per tutti noi  è solo un’immagine che si può deformare, moltiplicare all’infinito in base alle nostre esigenze, ai nostri capricci, nelle forme più svariate, con la ripetizione ossessiva, seriale di una stessa immagine, come fece Andy Wharol.
Punta il dito, Dominik, sulla laidità maschile, nessun uomo si salva in questo film, e già questa è una cosa insolita da parte di un uomo, per poi estenderlo a tutto il pubblico con il suo bisogno di divorare, di consumare la star, il mito e tutto quello che rappresenta.
L’originalità del film sta proprio qui, in questo dito puntato: siamo in qualche modo tutti voyeur, tutti complici, tutti abusanti, tutti chiamati in causa.

Blonde di Andrew Dominik Venezia 79 In Concorso

Informazioni su Letizia Piredda 191 Articoli
Letizia Piredda ha studiato e vive a Roma, dove si è laureata in Filosofia. Da diversi anni frequenta corsi monografici di analisi di film e corsi di critica cinematografica. In parallelo ha iniziato a scrivere di cinema su Blog amatoriali.
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