di Letizia Piredda
Una giornata organizzata per coppie di cuori solitari in cui si alternano domande, a cui ogni coppia a turno deve rispondere, e giochi. Un’atmosfera di attesa, con una vena di eccitazione e di scanzonata ironia. Ci troviamo a Sarajevo molti anni dopo il conflitto che ha portato alla dissoluzione della Jugoslavia. Ma all’interno di una coppia iniziano a crearsi dei contrasti finché l’uomo si alza e se ne va. Comincia a crearsi un clima di tensione, ora lui ora lei scompaiono e ricompaiono, fino ad arrivare a un vero boicottaggio delle attività proposte. Le altre coppie che, inizialmente, non avevano dato molta importanza alla cosa, cominciano a protestare, infastiditi da questa pesante interferenza.
Alcune immagini del film
Ma poi si apre una voragine e cominciano ad affiorare le lacerazioni, i traumi, le ferite ancora aperte: il serbo e il bosniaco, si affrontano ancora imprigionati dal ricordo. Bellissimo questo film che gradualmente affonda nelle lacerazioni ancora non sopite di una guerra fratricida. E i racconti da queste suscitati fanno pensare all’Ubuntu iniziato da Mandela in Sudafrica, a quel lungo processo di perdono che passa sempre e soltanto attraverso il racconto esplicito delle atrocitá inflitte o subite, e dalla volontà di comprendere e perdonare.
L’uomo più felice del mondo (The happiest man in the world), 2022 di Teona Strugar Mitevska, Sezione Orizzonti