Pubblichiamo l’intervista a Hirokazu Kore’eda comparsa su Robinson, il supplemento di Repubblica, in data odierna.
la Redazione
Hirokazu Kore-eda. Il doveredella verità
Il regista di culto giapponese riceverà a Venezia il premio Bresson. Mentre il suo nuovo film arriva nelle sale il prossimo 13 ottobre.
di Arianna Finos
L’indagine sui legami familiari, il loro senso, le condizioni di possibilità e autenticità, il rapporto personale con la memoria, la questione ineludibile della verità. La motivazione del premio Bresson, conferito a Kore-eda Hirokazu alla Mostra di Venezia il 6 settembre,definisce il cinema del regista giapponese e al contempo il suo ultimo film, Le buone stelle,in sala il 13 ottobre (Lucky Red e KochMedia). Il cineasta si è spostato nella Corea del Sud per una storia che ha come protagonista Song Kang-ho, attore di Parasite, era il padre della famiglia “parassita”. Stavolta è un uomo che vende i bambini lasciati dalle madri nelle baby box: un intreccio di esistenze fallite e marginali, un viaggio fatto di fughe e incontri, momenti struggenti e sorrisi a illuminare la visione del mondo sostanzialmente pessimista di Kore-eda. L’incontro con l’autore, di persona, nel quartier generale di Unifrance a Cannes, dove il film era in concorso.
Un affare di famiglia, 2018 e Father and son, 2013
Le sue famiglie – penso a “Un affare di famiglia” e a questo film non sono fatte di sangue e vincoli giuridici ma da legami di scelta, affinità, condivisione quotidiana.
«Naturalmente voglio provare a scuotere ciò che percepiamo come normale. Ma non è solo questo. Penso di aver iniziato a pensare a cosa sia una famiglia quando ho perso mio padre. Questo evento mi ha costretto a riflettere: cos’è un padre? E poi quando ho perso mia madre, è stato strano perché all’improvviso non ero figlio di nessuno. Allora ho pensato: come si fa a costruire una famiglia? E mi ha colpito il fatto che ciò che cerchiamo di fare è sostituire quel che ci manca. Per riempire gli spazi vuoti. Ed è così che ricostruiremmo la nostra famiglia. Quindi siamo sempre alla ricerca di qualcosa, per sostituire quel legame sanguigno che non abbiamo o per sostituire qualcuno. Queste storie nascono dal mio vissuto».
Girare “Le buone stelle” le serve anche a riempire un vuoto?
«A volte, quando giravo Aruitemo aruitemo, dopo la morte di mia madre, una parte di me era in lutto e il set mi ha aiutato. Ma c’è alla base anche la mia voglia di approfondire temi e questioni e il processo di scrittura di una sceneggiatura me lo permette. Da questo punto di vista è un lavoro simile a quando facevo i documentari».
Le buone stelle–Broker, 2022
Com’è nata l’idea di questo film?
«È iniziato mentre preparavo Father and son, stavo studiando il sistema di adozione giapponese, che è un po’ arretrato, e anche il sistema di affido. Ho scoperto che c’era una baby box gestita da un ospedale a Kumamoto, ed è questo che mi ha interessato. E poi ho scoperto che hanno la stessa cosa in Corea, anche se lì sono gestite dalle chiese. In Corea ci sono dieci volte più bambini lasciati ogni anno nelle scatole che in Giappone».
Guardando il film ci si ritrova a sorridere ed empatizzare con persone che sono trafficanti di bambini.
«Sì, sono stato criticato per aver rappresentato criminali in una luce troppo positiva in passato. All’inizio della storia hai chiaro chi sono i cattivi e i buoni, poi comprendi le motivazioni dei protagonisti, che vogliono fare qualcosa di buono per il bambino e inizi a capire che anche se i poliziotti sono dalla parte della giustizia, il loro operato porterà a un risultato più negativo per il bambino. Penso che ci siano persone che scivolano attraverso le lacune e le rigidità del sistema sociale,assistenza e polizia, che è destinato nel concreto a prendersi cura di loro. Si trovano al di fuori della società, schiacciate. Queste sono le persone che mi interessa mostrare».
Negli ultimi anni il suo lavoro ha iniziato ad avere una influenza politica, “Un affare di famiglia” ha allargato la discussione,anche sociale, su questa umanità marginale.
«Non parto con l’intenzione di cambiare la società e di influenzarla. Ma sono felice se i miei film cambiano lo sguardo e generano discussioni tra il pubblico».
Qual è stato il suo rapporto con i genitori? L’hanno incoraggiata nella sua scelta di fare il regista?
«I miei genitori non andavano molto d’accordo. Mio padre ha avuto una vita complicata, andò a combattere nella guerra quando il Giappone fu sconfitto, fu mandato nei campi di prigionia della Siberia per tre anni.
Dopo il lavoro forzato è tornato in Giappone, dove ha dovuto ricominciare, la vita era durissima. A un certo punto ha deciso che ne aveva avuto abbastanza, ha iniziato a giocare d’azzardo, si è indebitato molto. La sua è una storia di tanti.
Mia madre ha fatto del suo meglio per sostenerlo. Logico che mia madre volesse per me una vita ragionevole e corretta. All’inizio era contraria al fatto che facessi un lavoro creativo, autonomo. Mio padre, invece, con tutto quel che aveva vissuto, mi incoraggiava ad abbracciare la mia passione e mia madre era molto arrabbiata con lui per questo. Hanno potuto vedere solo tre dei miei film. E alla fine loro mi hanno sostenuto, hanno distribuito i video dei miei film ai vicini, tenuto un album di ritagli degli articoli di giornale su di me. Penso che alla fine sono riuscito a renderli orgogliosi».
La Corea è il massimo centro di esportazione del cinema orientale, come è stato lavorare in questa industria?
«Mi è stato di grande aiuto Bong Joon Ho. Prima di iniziare le riprese siamo andati a cena insieme, mi ha detto “sono sicuro che sei nervoso e preoccupato per tanti aspetti tecnici, ma non preoccuparti, segui il tuo ritmo e tutto sarà fluido”. È andata così, la sua è stata una presenza rassicurante e solidale. Ha guardato ogni scena, ogni ripresa e mi ha detto la sua opinione per migliorarla. Io non capivo la lingua e quindi è stato fondamentale nell’interazione con gli attori».
Dopo la Francia e la Corea ha intenzione di esplorare altre realtà cinematografiche?
«Volevo fare questo film in Corea perchè era perfetto per la storia, sono stato felice di girare in Francia. Ma il film che sto preparando, è ambientato in Giappone, torno nel mio perimetro più intimo: nella mia scuola elementare».