A Chiara, 2021 di Jonas Carpignano
Due occhi grandi scuri troneggiano per tutto il film. Due occhi che vogliono scoperchiare la realtà che tutti negano. Due occhi indagatori che non hanno pietà per chi si piega e diventa complice, neanche quando chi si piega è il padre, la persona a cui è più legata affettivamente.
Sono di Chiara questi due occhi, la quindicenne intrepida che non si dà pace da quando hanno bruciato la macchina del padre e lui è scomparso. Riprese ravvicinate di profilo si alternano a momenti corali, come la festa dei 18 anni di Giulia, la sorella di Chiara: nessuno spazio al distacco esteriore di una festa folkloristica, la mdp si immerge nel disordine autentico dei legami affettivi che culminano nell’abbraccio commosso del padre con le figlie. Un richiamo esplicito a A Ciambra, l’altro film del regista, con la comunità rom di Gioia Tauro.
Alcune immagini del film
Una narrazione sincopata, spesso avvolta nel buio, dove a mala pena riusciamo a distinguere un corpo. E’ sempre lei Chiara, che ha scoperto dentro casa un pertugio nel muro che porta ad uno scantinato. Su un tavolo, attrezzi strani e resti di polvere bianca. Arriva fino in fondo Chiara, fino all’incontro col padre che guarda impietosa con i suoi occhi fermi e irresoluti, senza scoraggiarsi neanche quando tocca con mano il baratro di nefandezza che il padre, con le sue scelte, le ha aperto sotto i piedi, distruggendo radici, affetti, valori in cui ha creduto fino a quel momento.
E sarà sua, solo sua, la scelta finale di distacco, con tutta la disperazione e con tutto il dolore che essa comporta.
Da vedere
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