La battaglia di Stalingrado: dall’epopea di Vasilij Grossman ai film che l’hanno raccontata

di Tano Pirrone

Di prammatica, quando preparo per Odeonblog un articolo su uno spettacolo teatrale o su un’opera di letteratura, ne definisco il disegno, curando di fare ogni possibile collegamento col il focus della rivista – che è dichiaratamente il cinema. Nell’ultimo articolo su Stalingrado il grande romanzo di Vasilij Grossman, che tratta della battaglia decisiva per la difesa della città russa – oggi Volgograd – da parte dell’aggressione nazista, l’argomento era tanto impegnativo da aver assorbito totalmente le mie energie e lo spazio dedicabile sulla nostra rivista. Porgo ora rimedio con uno spin-off, in cui scrivo di alcuni film (se non tutti, i più importanti) che trattano dell’epico episodio durato dal 17 luglio 1942 al 2 febbraio 1943.

Quando nel 1941 l’invasione nazista dilagò nelle pianure russe, i principali nuclei produttivi si spostarono ad Alma Ata[1] e nelle regioni meno raggiungibili dal nemico. Lì fu girato il primo film, a guerra ancora in corso. Gli altri si sono susseguiti nei decenni, tra lodi e polemiche, cercando di raccontare lo scontro decisivo del Secondo conflitto mondiale.

Giorni e notti (1944)

Col titolo originale di Dni i nochi, fu girato nel 1944, a guerra ancora in corso. Regista ne fu Aleksandr Stolper[2]. È basato su un’opera dello scrittore sovietico Konstantin Simonov[3] e racconta la storia della difesa di Stalingrado da agosto a novembre del 1942, il periodo dei combattimenti più feroci. Nel film i veri eroi che mantennero la loro posizione a Stalingrado, sono ufficiali e soldati dell’Armata Rossa, mentre i membri del Partito Comunista e i suoi leader hanno un ruolo di secondo piano. Uno dei ruoli principali del film è interpretato da un giovane attore, Jurij Ljubimov[4], che in seguito è diventato direttore del leggendario Teatro Taganka[5] di Mosca.

La grande svolta (1945)

“Una rappresentazione critica della guerra, un ritratto straziante delle vite dei soldati lontani da casa, che combattono in condizioni spietate nel gelo del fronte russo, nella più grande incertezza del domani. Le vedute panoramiche dei paesaggi e le cupe e malinconiche sequenze dei dialoghi, che sono la firma del regista Fridrikh Ermler[6], sono meravigliosamente eseguite e quasi completano le espressioni e le prove recitative degli attori “, ha detto un critico contemporaneo, descrivendo questo film sovietico del 1945 il cui titolo in russo è Velikij perelom.

Gli autori del film confessarono in seguito che l’idea di realizzarlo si fece avanti immediatamente dopo la vittoria sovietica a Stalingrado, che all’epoca sembrava un miracolo. Il film ha vinto un Grand Prix al primo Festival di Cannes, nel settembre del 1946.

La battaglia di Stalingrado (1949)

Il film sovietico (Stalingradskaya bitwa I,II)è la ricostruzione della battaglia fatta dal regista Vladimir Petrov (Pietroburgo 1896 – Mosca 1966), che, dopo alcuni film per l’infanzia alternò riusciti adattamenti da Ostrovskij (Groza “L’uragano“, 1934; Bez viny vinovatye “Colpevoli senza colpa“, 1945), Gogol´ (Revizor “Il revisore“, 1952), Turgenev (Nakanune “La vigilia“, 1959), ecc. a vigorosi affreschi storici (Pëtr pervyj, Pietro il Grande, in 2 parti, 1937 e 1939; Kutuzov, 1943; Stalingradskaja bitva, La battaglia di Stalingrado, 1949). Meno felice il sentimentale Russkij les (La foresta russa, 1964).

Interpreti e personaggi del film: Mikhail Astangov: Adolf Hitler / Nikolai Cherkasov: Franklin D. Roosevelt / Alekhsei Dikij: Josef Stalin / Vladimir Gajdarov: Gen. Von Paulus / M. Garkavij: Hermann Goering / N. Kolenikov: Col. Gen. Yeremenko.

Stalingrado (1959)

Nella versione italiana è semplicemente “Stalingrado”, ma il titolo originale tedesco è Hunde, wollt ihr ewig leben (Cani, volete vivere per sempre) e riprende le parole che il re di Prussia Federico II, detto il Grande (1712 – 1786), avrebbe detto ai suoi soldati mentre, in preda al panico, scappavano dal campo di battaglia: “Maledetti mascalzoni, volete vivere per sempre?”. Questo è stato il primo film della Germania occidentale sull’argomento, realizzato all’incirca nel periodo in cui l’ultimo prigioniero di guerra tedesco era tornato a casa dall’Unione Sovietica. Il film è incentrato sulla vita dei soldati della Wehrmacht e dei loro alleati romeni dopo la resa a Stalingrado, dove vennero fatti prigionieri. Il regista del film, Frank Wisbar[7], ha utilizzato anche autentiche immagini d’archivio. Per questo film, Wisbar ottenne la nomination al Leone d’oro (Mostra internazionale d’arte di Venezia); fu designato “Miglior regista” da Deutscher Filmpreis e ricevette il Premio della critica da parte di Preis der deutschen Filmkritik. Il dvd è reperibile su Ibs.

Hanno combattuto per la patria (1976)

Oni srazhalis’ za rodinu (1976, girato nel 1975). Questo film del regista sovietico vincitore dell’Oscar (nel 1969 per Guerra e pace: Natascia – L’incendio di Mosca) Sergej Bondarchuk[8], spicca tra i film dedicati a Stalingrado. Tratto dall’omonimo romanzo di Mikhail Sholokhov[9], vincitore del Premio Nobel per la letteratura, il film narra la storia di un plotone che resiste all’offensiva tedesca a Stalingrado nell’estate del 1942. Il famoso scrittore e attore sovietico Vasilij Shukshin ha interpretato il suo ultimo ruolo in questo film, e nel film hanno recitato molti dei principali attori sovietici dell’epoca, incluso lo stesso Bondarchuk. La rivista cinematografica, Sovetskij Ekran (“Schermo sovietico”), lo nominò miglior film del 1976.

Stalingrad (1993)

Stalingrad è un film di guerra del 1993 diretto dal tedesco Joseph Vilsmaier, direttore della fotografia, regista, produttore cinematografico e sceneggiatore, a lungo attivo sia per il cinema che per la televisione.
Il film racconta la storia della Sesta armata tedesca accerchiata dai russi e distrutta quasi completamente rivisitandola dal punto di vista di soldati che prendono progressivamente coscienza di una realtà molto lontana dai proclami ideologici. Il regista è a tratti volutamente didascalico, ed il film denso di inesattezze storiche, ma non rinuncia a esplorare le contraddizioni dell’animo umano posto dinanzi ai grandi dilemmi morali.
Nel 1942 la 6ª Armata tedesca, accerchiata dai russi, sta per crollare a Stalingrado. Per un gesto di insubordinazione un gruppo di soldati rischia la corte marziale e, intanto, è destinato a missioni pericolose. Quando sono costretti a fucilare civili russi, tra cui un bambino, in tre di loro nasce la voglia di disertare. Quello di Vilsmaier – anche sceneggiatore, scenografo e produttore associato – è un film contro la guerra, contro quella guerra e contro il modo con cui fu fatta dai tedeschi. Non dice nulla di nuovo, ma lo dice bene, con un robusto mestiere narrativo, in modi attendibili, senza indugi compiaciuti sulla violenza ferina dell’inferno che rappresenta. E con due o tre momenti di dolente drammaticità, tra cui il finale.

Da sinistra in alto: Giorni e notti,1944 La grande svolta, 1945 La battaglia di Stalingrado,1949. Al centro: Stalingrado,1959 Stalingrad, 1993 A destra: Nemico alle porte, 2001 Stalingrado,2013

Il nemico alle porte (2001)

Questo è probabilmente il film sulla battaglia di Stalingrado più famoso in Occidente. Realizzato in una coproduzione Usa-Gran Bretagna-Germania-Irlanda-Francia dal regista francese Jean-Jacques Annaud, il conflitto centrale del film è un duello personale tra due cecchini interpretati da Jude Law e Ed Harris. Il film è stato accolto con sentimenti contrastanti in Russia.

Ne Il nemico alle porte, Annaud, tenta di ricreare la Storia, di coniugare spettacolarità e dimensione privata, di combinare il massiccio assedio dei tedeschi a Stalingrado con la storia eroica del cecchino Vassilli Zaitsev. E in effetti la guerra si riduce in una sorta di duello western con soli due personaggi sulla scena: Vassilli da una parte e il maggiore tedesco dall’altra. Sono i loro due personaggi che ritrasformano lo spazio attraverso l’obiettivo del proprio fucile. Forse il film, sostenuto da una produzione e un cast essenzialmente hollywoodiano/europeo (da Jude Law a Ed Harris, da Joseph Fiennes a Rachel Weisz), guardava al Kubrick di Orizzonti di gloria e a Spielberg dei primi 20 minuti di Salvate il soldato Ryan, alla graduale esaltazione emotiva di tanto cinema di Sergio Leone (anche il regista italiano doveva realizzare un film su Stalingrado).

Stalingrad (2013)

Uno degli ultimi tentativi russi di rappresentare la battaglia è stato un progetto ambizioso con un budget elevato per gli standard locali: 30 milioni di dollari. Si tratta della prima pellicola russa prodotta completamente in 3D. Diretto da Fedor Bondarchuk, figlio del regista di “Hanno combattuto per la patria” (vedi sopra), è stato un successo al botteghino, incassando più di 68 milioni di dollari. Il film, in effetti, narra una storia ispirata dalla difesa della casa di Pavlov[10], nella più ampia storia dell’assedio di Stalingrado.

Nonostante il successo economico, il film ha suscitato non poche polemiche e al Ministero della Cultura venne addirittura chiesto di vietarlo perché “faceva del nazismo un aspetto storico eroico e contorto”. Una petizione per proibire il film fu firmata da 34.000 persone. Il ministero non ha mai risposto pubblicamente. Cosa ha provocato una reazione del genere da parte di alcuni spettatori? Potrebbe essere stato il ritratto dei soldati tedeschi. Una recensione ha osservato che sono stati mostrati come “umani, con capacità di provare sentimenti e di amare”.

Molto interessanti sono anche i numerosi documentari, fra cui ricordiamo, per lo specifico argomento: Stalingrado (1943) di Leonid Varlamov e La battaglia per l’Ucraina sovietica (1943), di Doivženko e Julia Solntseva.

Vedere i film descritti non è facile; i più recenti si trovano in dvd o in streaming; per gli altri (sicuramente i più interessanti da vedere), bisogna cercare sperando di imbattersi in un festival come quello organizzato nel dicembre 2020 dall’Istituto di Cultura e lingua russa, in cui tutti i film attinenti sono proiettati. Nel caso citato, fortunatamente in streaming, permettendo a tutti di fruirne. Parlare, guardare, discutere oggi di questi film serve a giustamente considerare la tragedia in corso ed augurarsi che iniziative di pace vengano immediatamente avviate.

NOTE

[1]     Alma-Ata, fino al 1993 Almaty (e precedentemente fino e al tempo della sua fondazione Vernyj), è la città più popolosa del Kazakistan, con 1 948 800 abitanti. Situata sulle pendici dei monti Trans-Ili Alatau, presso la frontiera con il Kirghizistan, fu la capitale dello Stato fino al 1997.

[2]     Aleksandr Borisovich Stolper (Dvinsk, 12 agosto 1907 – Mosca, 12 gennaio 1979) è stato un regista e sceneggiatore sovietico. Ha diretto 14 film tra il 1940 e il 1977. Aleksandr Stolper è stato insignito del Premio Stalin nel 1949 e 1951 e ha ricevuto il titolo onorifico di People’s Artist of the USSR nel 1977.

[3]     Konstantin Michajlovič Simonov, pseudonimo di Kirill Michajlovič Simonov, (Pietrogrado, 28 novembre 1915 – Mosca, 28 agosto 1979), è stato uno scrittore e politico sovietico. Ampia notorietà gli procurarono, durante la seconda guerra mondiale, le sue poesie d’amore e, successivamente, il romanzo I giorni e le notti, del 1944, tradotto in tutto il mondo, in cui celebra la difesa di Stalingrado. Autore di numerosi drammi, romanzi e raccolte in versi, fra le sue opere spiccano i libri di viaggio e le corrispondenze di guerra dai vari fronti, incentrati sulle esperienze personali durante questi periodi all’estero, dalla seconda guerra mondiale stessa fino alla guerra del Vietnam. Ha ricevuto più volte il Premio Stalin.

[4]     Per la Russia, Lyubimov è un regista incredibilmente importante. Egli non era riformatore al pari di Stanislavsky o Mejerchold, tuttavia, assumendo la responsabilità del Teatro del Dramma e della Commedia sulla Taganka cinquanta anni fa, nel 1964, insieme ai suoi attori ha creato quel tipo di arte proibita che non andava in scena da decenni in epoca staliniana.

[5]     Il Teatro Taganka è un prestigioso teatro situato nell’edificio Art Nouveau in piazza Taganka a Mosca, fondato nel 1946.

[6]     Fridrich Markovič Ermler (Rēzekne, 13 maggio 1898 – Leningrado, 12 luglio 1967) è stato un regista sovietico. Si avvicinò al cinema nel 1923 dopo aver svolto per alcuni anni attività politica. Nel 1924 fondò il KEM, un centro di attività sperimentale che anticipava i principi del “realismo socialista”.

[7]     Frank Wisbar, nato Franz Wysbar (Tilsit, 9 dicembre 1899 – Magonza, 17 marzo 1967), è stato un regista, sceneggiatore e produttore cinematografico e televisivo tedesco. Nato nel 1899 a Tilsit nella Prussia Orientale (l’attuale città russa di Sovetsk), nei primi anni trenta Franz Wysbar lavorò come regista e sceneggiatore soprattutto per la Terra-Filmkunst. I suoi primi film, tra cui Hermine und die sieben Aufrechten che nel 1935 ottenne una menzione speciale alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, incontrarono la disapprovazione del regime nazista e nel 1939 Wisbar e la moglie Annemarie lasciarono la Germania per gli Stati Uniti. Dopo aver cambiato il nome in Frank Wisbar, negli anni quaranta iniziò a lavorare dirigendo B-movies con budget ridottissimi. Nel 1947 diventò cittadino americano e, oltre a continuare a scrivere sceneggiature, ebbe un certo successo negli anni cinquanta come regista e produttore freelance di alcune delle prime serie antologiche televisive. A metà degli anni cinquanta tornò a vivere in Germania, dove nel 1960 fu membro della giuria internazionale della 10ª edizione del Festival di Berlino, e inizialmente si dedicò soprattutto a film di guerra come Stalingrado, per il quale nel 1959 vinse il premio come miglior regista ai Deutscher Filmpreis, Fabbrica di ufficiali (1960) e Marcia o crepa (1962). In seguito tornò a lavorare in televisione.

[8]      Sergej Fëdorovič Bondarčuk (Bilozerka, 25 settembre 1920 – Mosca, 20 ottobre 1994) è stato un regista, sceneggiatore e attore sovietico. Bondarčuk nacque a Bilozerka, nell’oblast’ ucraino di Cherson. Frequentò corsi di recitazione a Rostov, ma dovette abbandonare lo studio a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale, arruolandosi nell’Armata rossa come attore di intrattenimento per le truppe. Nel dopoguerra tornò a frequentare corsi di recitazione, sotto la direzione di Sergej Gerasimov, che lo fece debuttare nel 1948 in una sua pellicola cinematografica, La giovane guardia.

Assurse alla fama nel 1951, interpretando il poeta Taras Ševčenko nell’omonimo film, diretto da Aleksandr Alov e Vladimir Naumov. L’interpretazione colpì il presidente Stalin che lo insignì del titolo di Artista del popolo dell’Unione Sovietica.

Esordì alla regia nel 1959 con Il destino di un uomo, e nel 1969 si aggiudicò il Premio Oscar quale miglior film straniero per Guerra e pace; ma ottenne pure altri riconoscimenti tra cui il Golden Globe, il National Board of Review Award e il New York Film Critics Circle. Da tenere presente che nel film, Bondarčuk ricopre pure uno dei ruoli principali. Nel 1971, invece, il suo film Waterloo, prodotto da Dino De Laurentiis, ottiene il David di Donatello, con un cast “stellare”: Rod Steiger (Napoleone), Christopher Plummer (Lord Wellington) e Orson Welles (il Re di Francia). Nel 1982 diresse Franco Nero in Red Bells, Messico in fiamme, e nel 1983, questa volta in coppia con Sydne Rome, in Red Bells II I dieci giorni che sconvolsero il mondo. Sempre nel 1983 vinse il riconoscimento alla carriera al Festival del cinema di Venezia. Nel 1985, insieme a Robert De Niro venne premiato con il segno d’argento dell’Istituto internazionale di scienze cinematografiche di Firenze.

[9]     Premio Nobel per la letteratura nel 1965, Michail Aleksandrovič Šolochov (Kružilin, 24 maggio 1905 – Vëšenskaja, 21 febbraio 1984) è stato uno scrittore e politico sovietico. Per ampiezza di soffio epico e serenità di visione è stato paragonato a Tolstoj, ed ha riscosso vasto successo anche in Occidente In URSS la sua opera era tenuta in altissimo conto, oltre che per questi pregi artistici, per il contributo alla vittoria ed alla propaganda del socialismo. È noto principalmente per aver narrato l’epopea dei Cosacchi del Don durante la rivoluzione russa e la guerra civile nel suo romanzo più celebre, Il placido Don.

[10]    La casa di Pavlov era un edificio fortificato durante la battaglia di Stalingrado tra il 1942 e il 1943. La struttura prese questo nome dal sergente Jakov Pavlov che, assieme al tenente anziano Ivan Filippovič Afanas’ev giunto più tardi con dei rinforzi, comandò il plotone che conquistò e difese l’edificio durante un periodo di 58 giorni. L’edificio constava di quattro piani ed era situato nel centro della città. Per obbedire all’ordine di Stalin “nessun passo indietro”, al sergente Pavlov fu ordinato di fortificare l’edificio e difenderlo fino all’ultimo proiettile e all’ultimo uomo. Pavlov ordinò che l’edificio fosse circondato da quattro livelli di filo spinato e campi minati, e posizionò mitragliatrici in ogni possibile finestra che si affacciasse sulla piazza. Durante le prime fasi della difesa, Pavlov si rese conto che un fucile anticarro (PTRS41) che aveva montato sul tetto era particolarmente efficace quando veniva utilizzato per tendere imboscate agli ignari carri armati tedeschi; quando i mezzi si avvicinavano a meno di 25 metri dall’edificio, la leggera corazza della loro torretta diventava vulnerabile al fuoco proveniente dall’alto da parte del fucile anticarro, e allo stesso tempo essi non riuscivano ad alzare abbastanza il tiro delle loro armi così da poter controbattere.

Informazioni su Tano Pirrone 89 Articoli
Sono nato in provincia di Siracusa, a Francofonte, l’antichissima Hydria dei coloni greci, quaranta giorni prima che le forze alleate sbarcassero a Licata. Era il 14 maggio 1943. Ho frequentato il liceo classico, ma non gli studi per giornalista, cui ambivo. Negli anni ’70 ho vissuto due lustri a Palermo, dove ho lavorato in fabbrica, come impiegato amministrativo- commerciale. Nel 1981 mi sono trasferito a Roma per amore di Paola, oggi mia moglie. Sono stato funzionario commerciale e Project Manager nel Gruppo Marazzi. Infine consulente d’azienda per Organizzazione Aziendale e Sistemi Qualità. Curo le piante della mia terrazza, vedo gente, guardo film e serie tv, vado a cinema e a teatro, seguo qualche mostra; leggo, divagando e raccogliendo fior da fiore, e scrivo di cinema, libri e teatro per Odeonblog; di altre cose per me stesso. Ho pubblicato anche su Ponza Racconta, Lo Strillo, RedazioneCulturaNews ed altri siti di cinema e teatro. Ho due figli, Francesco e Andrea, ed avevo un cane, Bam, che sta sempre con me dovunque io vada. Sono faticosamente di sinistra; sono stato incendiario ed ora dovrei essere ragionevolmente pompiere.
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