Stalingrado di Vasilj Grossman chiude felicemente il Maggio Letterario alla Biblioteca Europea di Roma

di Tano Pirrone

Grande tempismo quello della casa editrice Adelphi, che fa arrivare nelle librerie italiane il capolavoro di Vasilij Grossman Stalingrado[1], in cui si narra di moltitudini di uomini e donne, di donne e uomini, coinvolti nella Grande guerra patriottica[2] combattuta e vinta dall’indomito popolo russo contro l’invasore, la grande indimenticabile epopea sovietica contro i nazifascisti di tutta Europa. E’ centrale nel poderoso romanzo la battaglia per la difesa di Stalingrado, in cui il sacrificio di centinaia di migliaia di militari e civili[3] inchiodò gli invasori, salvando la Russia, l’Unione Sovietica e il mondo intero dall’oscura previsione di un governo mondiale del Terzo Reich; Stalingrado, là dove la Falce e il Martello inchiodarono la Svastica e l’inopportuno, insignificante fascio littorio[4].
Il romanzo pubblicato nel 1952 con il titolo, non voluto dall’autore, Per una giusta causa (Za pravoe delo): citazione di Molotov, dal discorso tenuto alla nazione dopo lo scoppio della guerra. Umilianti le condizioni imposte allo scrittore per autorizzare la pubblicazione del romanzo, che, comunque, avvenne, nel 1952, a puntate sulla rivista letteraria Novyj Mir, e nel 1955 in volume, dopo la morte di Stalin, pur in condizioni politiche non favorevoli. Doveva essere quello pubblicato, il primo volume di una dilogia (La dilogia di Stalingrado): la chiusura del romanzo, alla pagina 848 dell’edizione italiana è affidata infatti al breve avviso in corsivo: Fine del primo libro. La seconda parte avrebbe dovuto essere Vita e destino, cui Grossman si dedicò dal 1953 al 1960; il manoscritto languì nella redazione di Znamia (altra rivista letteraria), perché “antisovietico e calunnioso”, poi finì nelle grinfie del KGB, che lo confiscò e lo imprigionò: finezze filosofiche dei monoliti dittatoriali per cui si lasciò “libero” l’autore, imprigionando l’opera, riconoscendo inconsapevolmente con ciò l’autonomia che l’opera letteraria, l’opera d’arte in genere acquisisce rispetto al proprio autore, che la partorisce dandole l’autosufficienza.

In alto Cechov e Tolstoj, sotto la Casa di Pavlov

Poco dopo, il grande ebreo russo, creatore di immense trasparenti galassie umane che nel loro vorticare s’intrecciano in Storia, morì: la seconda parte della dilogia, giunta miracolosamente in era Gorbačëv fu finalmente pubblicata. In Italia Vita e destino venne pubblicato nel 1984 per la casa editrice milanese Jaca Book con traduzione di Cristina Bongiorno e nel 2008 da Adelphi nella versione di Claudia Zonghetti[5]. Vita e destino dopo decenni potrà sistemarsi al suo posto (secondo solo per momento creativo, non certo per qualità, che è in entrambi massima, da autentici capolavori) ed attendere insieme col corposo Stalingrado la traduzione del primo romanzo di Vasilij Semënovič Grossman: l’ormai quasi ottantenne Il popolo è immortale.

Grande tempismo anche quello della Biblioteca Europea, che al limitar di maggio, quando “le serate si fanno lunghe”[6], ha invitato a parlare dell’Ebreo russo, di Russia, delle Stalingrado di ieri e di oggi, (educatamente) di comunismo e anticomunismo, un gruppo affezionato di seguaci lettori, e strategicamente chiesto di occupare la postazione dietro il tavolo, armate di efficienti microfoni a Jolanda Bufalini giornalista, direttrice di Slavia, rivista trimestrale di culture slave e a Claudia Scandura, che già docente di Lingua e letteratura russa presso l’Università della Tuscia e la Sapienza di Roma, ha svolto attività di ricerca a Berlino e a Mosca. Si occupa di letteratura russa del XX e XXI secolo, di teoria e prassi della traduzione ed è responsabile, insieme a Ornella Discacciati, della collana “Itinerari nel meraviglioso. Studi di cultura russa” edita dalla casa editrice Nuova Cultura di Roma. Alternandosi nell’esposizione esse traggono le fila per la conoscenza dello scrittore, dell’uomo del suo tempo, dell’ardimentoso giornalista di guerra, del fervente comunista, del profondo scrittore, delle sue disillusioni e dei suoi dolori. Raccontano come nella sua vita e nelle sue opere egli intrecci storie personali e grande storia, e per raccontare la storia di ognuno, ha narrato che la Storia non era soltanto la sua, ha rammentato quello che l’Uomo ha fatto all’uomo attraverso ognuno dei suoi personaggi, affinché ogni generazione ricordi. In ebraico “generazione” si dice dor, che indica letteralmente, il gesto di intrecciare una cesta; quindi di legare, ogni generazione alla successiva, e la Storia non è altro che l’intreccio infinito di vite di ogni generazione interconnesse con altre vite della successiva generazione. Il senso profondo del romanzo emerge leggendolo come, appunto, come romanzo, senza cercare di usarlo come un saggio per affastellare concetti, idee, indicazioni: i suoi romanzi sono proprio per quanto detto romanzi sinfonici, che muovono nel tempo melodie senza tempo. In ciò, anche in ciò, Grossman è molto vicino al grande respiro di Tolstoj, pur uomini di tempi diversi in condizioni storiche, politiche e di potere diverse. Tolstoj il cantore della Grande Russia, Grossman dell’Unione Sovietica nel punto più alto della sua storia. Ognuno con una Guerra, ognuno con una Pace. Ma il tormentato cristiano Lev ebbe la fortuna di scrivere dopo che i fatti storici da lui raccontati erano successi, mentre Vasilij li annota con maniacale tenacia e precisione e li descrive mentre succedono. Grossman è corrispondente di guerra, di quelli che vanno  sul campo, rifiutandosi di stare al sicuro dietro un tavolo; e quindi ha sofferto, è diventato egli stesso vittima della barbarie della guerra – vittima per la sua qualità di narratore di storie che piovono come frammenti dalle rovine della Storia – di ogni guerra, non trovando spesso il necessario distacco dai fatti, così come accadono e che lui descrive così come li ha vissuti o interpretati, comunque fatti suoi, nella carne e nella parola.

Sin dalle prime pagine disegna con malizia come figurine di un teatrino delle ombre i personaggi tragici e ridicoli al contempo, simbiosi eterna di Male e Cattivo Gusto; promette e anticipa rendendo attraente la scalata alle 848 pagine[7].

In conclusione, raccolte anche alcune congrue indicazioni dei pochi interventi finali, si potrebbe dire, che oggi, in tempi non facili eppur ricchissimi di suggestioni, chi vuole capire, qualcosa della Russia di oggi, deve passare anche dalla lettura di testi complessi, urticanti, come Stalingrado e Vita e destino; si potrebbe affermare che la paura antica che la Russia ha di essere attaccata da occidente è paura e diffidenza radicata e motivata: nella Russia zarista francesizzata, profondamente europea, venne proprio dalla Francia, cuore nuovo dell’Occidente, l’attacco spietato per spegnere e piegare la Santa Madre Russia[8]. Come fu per quella guerra, anche nella seconda, l’invincibile attaccante fu sconfitto e il sacro suolo della patria preservato dall’ignominia della dominazione straniera. Ma rimane in essa una parte sensibile, sicuramente non alleviata dall’evolversi della storia e dell’arroccamento su posizioni “conservatrici”, senza alcuna evoluzione di tipo libertario né nella produzione e distribuzione della ricchezza. La Russia sembra congelata, in un tempo suo, indipendente, in cui i valori nazionali si confondono spesso con i valori degli oligarchi che detengono potere e ricchezze. Sempre sulla difensiva e costretta ogni tanto ad uscire dall’angolo, come un orso in pericolo per difendere la sua tana e i suoi piccoli. Ma all’esterno il mondo non sta fermo, le ruote degli ingranaggi ruotano lentamente. Inesorabilmente l’altra parte del mondo si muove più velocemente ed ha fretta di stabilire nuovi punti di controllo e di potere: il capitalismo non dorme mai e quando sembra più immobile è proprio in quel momento che sferra il proprio attacco. Nel 2014 c’era stata la grande prova, il saggio delle possibilità di destabilizzare i confini. Il cambiamento delle politiche interne Usa, proprio nel momento di minor forza e capacità della Nato, hanno provocato la reazione ursina di Putin. Le scomposte reazioni danno segnali ben precisi e inequivocabili: Il comunismo ha permeato la storia degli uomini, nel bene e nel male in tutto il secolo breve, che breve non fu e che continua a straziare e a straziarci, se non poco cedendo alla forza immensa che lo ha caratterizzato: dalle rivoluzioni che hanno coinvolto centinaia e centinaia di milioni di persone, alle nuove forme di guerra, di cui le due bombe di Hiroshima e Nagasaki, rispettivamente del 6 e del 9 agosto del 1945, sono le Colonne d’Ercole che dividono un di qua di pace e fratellanza da un di là di guerra e distruzione. L’Europa è prima di tutto degli Europei e deve estendersi dall’Atlantico ai mari dell’estremo oriente e comprendere i paesi mediterranei, costituendo un’unità umana, politica, economica, culturale capace di confrontarsi con le grandi realtà politiche mondiali, senza timori e senza sudditanze.

Poco dopo, il grande ebreo russo, creatore di immense trasparenti galassie umane che nel loro vorticare s’intrecciano in Storia, morì: la seconda parte della dilogia, giunta miracolosamente in era Gorbačëv fu finalmente pubblicata. In Italia Vita e destino venne pubblicato nel 1984 per la casa editrice milanese Jaca Book con traduzione di Cristina Bongiorno e nel 2008 da Adelphi nella versione di Claudia Zonghetti. Vita e destino dopo decenni potrà sistemarsi al suo posto (secondo solo per momento creativo, non certo per qualità, che è in entrambi massima, da autentici capolavori) ed attendere insieme col corposo Stalingrado la traduzione del primo romanzo di Vasilij Semënovič Grossman: l’ormai quasi ottantenne Il popolo è immortale.

Il comunismo è finito, ma il mondo possibile che ci ha fatto intravedere, il sogno di giustizia e di eguaglianza, quello è ancora vivo pur se sopito e fa ancora paura. Dorme sepolto il comunismo di tanti, ma l’anticomunismo è vivo e si agita furioso.


NOTE

[1]   Stalingrado, Vasilij Grossman, Biblioteca Adelphi 731 – A cura di Robert Chandler e Jurij BitJunan – Traduzione di Claudia Zanchetti – Adelphi, 2022 – € 28,00

[2]   La locuzione “grande guerra patriottica” è utilizzata in Russia e in alcuni altri stati dell’ex Unione Sovietica per descrivere la resistenza all’invasione nazista. Tale espressione ricorda la “guerra patriottica” combattuta dall’Impero russo contro Napoleone Bonaparte nel 1812 e meglio conosciuta come “campagna di Russia”. Nella storiografia non russo/sovietica è denominata “Fronte orientale” ed è parte decisiva degli esiti della seconda guerra mondiale.

[3]   Le cifre sono incerte, ma non si sbaglia di molto indicando in oltre 1 milione i morti fra le forze dell’Asse e i suoi alleati e in circa 500.000 i morti fra i sovietici.

[4]   Questa rimarrà fortunatamente un’ipotesi letteraria nei romanzi ucronici, di grande successo e con spin-off di film e serie tv: Fatherland di Robert Harris, La svastica sul sole (The Man in the High Castle) di Philip K. Dick e Il complotto contro l’America (The Plot Against America) di Philip Roth.

[5]   Esiste in commercio anche la versione audiolibro: Letto da: Tommaso Ragno; durata 40 ore e 58 minuti. Versione integrale.

[6]   Maggio di Giorgio Caproni.

[7]   Estratto dal capitolo 1, Incipit: «Il 29 aprile del 1942, in un tripudio di bandiere tedesche e italiane, alla stazione di Salisburgo arrivò il treno del dittatore dell’Italia fascista Benito Mussolini. Dopo la cerimonia di prammatica, Mussolini e i suoi accoliti si diressero al vecchio castello di Klessheim, antica residenza dei vescovi del luogo. Lì, nei grandi saloni freddi riammobiliati di recente con arredi sottratti alla Francia, si sarebbe tenuto l’ennesimo incontro fra Hitler e Mussolini, mentre Ribbentrop, Keitel, Jodl e altri collaboratori stretti del Führer si sarebbero confrontati con i ministri che avevano accompagnato il duce: Ciano, il generale Cavallero e Alfieri, l’ambasciatore italiano a Berlino. I due sedicenti padroni dell’Europa si incontravano ogni volta che Hitler predisponeva una nuova sciagura nella vita dei popoli. Le loro conversazioni a quattr’occhi sulle Alpi al confine fra Austria e Italia portavano puntualmente a un’invasione, a manovre diversive di portata continentale e ad attacchi di fanteria motorizzata con relativo spiegamento di milioni di uomini.»

[8]   Madre Russia (in russo: Матушка Россия, traslitterato: Matuška Rossija) è una personificazione nazionale della Russia, usata ancora oggi in moltissime occasioni. Durante l’era sovietica il termine Родина-Мать/Rodina-Mat (“madrepatria”) era preferito per rappresentare la natura multietnica dell’Unione Sovietica; tuttavia è evidente la somiglianza tra il termine pre-rivoluzionario Madre Russia e la figura sovietica, specialmente dopo la grande guerra patriottica, il nome con cui è nota la seconda guerra mondiale in Russia e nelle ex repubbliche sovietiche.

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Sono nato in provincia di Siracusa, a Francofonte, l’antichissima Hydria dei coloni greci, quaranta giorni prima che le forze alleate sbarcassero a Licata. Era il 14 maggio 1943. Ho frequentato il liceo classico, ma non gli studi per giornalista, cui ambivo. Negli anni ’70 ho vissuto due lustri a Palermo, dove ho lavorato in fabbrica, come impiegato amministrativo- commerciale. Nel 1981 mi sono trasferito a Roma per amore di Paola, oggi mia moglie. Sono stato funzionario commerciale e Project Manager nel Gruppo Marazzi. Infine consulente d’azienda per Organizzazione Aziendale e Sistemi Qualità. Curo le piante della mia terrazza, vedo gente, guardo film e serie tv, vado a cinema e a teatro, seguo qualche mostra; leggo, divagando e raccogliendo fior da fiore, e scrivo di cinema, libri e teatro per Odeonblog; di altre cose per me stesso. Ho pubblicato anche su Ponza Racconta, Lo Strillo, RedazioneCulturaNews ed altri siti di cinema e teatro. Ho due figli, Francesco e Andrea, ed avevo un cane, Bam, che sta sempre con me dovunque io vada. Sono faticosamente di sinistra; sono stato incendiario ed ora dovrei essere ragionevolmente pompiere.
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