Percepire l’invisibile

Un film documentario prodotto e diretto da Tino Franco

di Tano Pirrone

Un gruppetto di persone, donne e uomini, disposte a ventaglio sono a Campo de’ fiori, dietro le spalle hanno il monito perenne dell’ “alchimista” nolano, che, anche lui immobile, alla scena dà le spalle. Aspettano davanti al mitico cinema Farnese. Sotto all’insegna (semplice, ché non ha bisogno d’altro: Farnese è “il cinema”) segni strani. Il superficiale osservatore li scambierà per giganteschi scarabocchi senza senso, frutto di momentanee e acrobatiche insanie, ma a me, che un po’ già so quel che succede, mi viene forte l’idea che la scritta indecifrabile per i più abbia un senso e in lingua ostrosibile significhi (provo a tradurre) “Il cinema degli Invisibili”. Lo scrivo col senno di poi, ma con la fortuna degli iniziati spero di aver fatto centro. Tout se tient, tutto è collegato.

Continua, lo strano filmato, e s’alzano le saracinesche del vecchio cinema. La sala accoglie gli spettatori e pian piano si svela la trama, la storia retrostante, gli scoperti obiettivi. Ognuno racconta, tutti protagonisti, tutti nella stessa barca. Stiamo vedendo un film, un documentario se volete, prodotto e diretto da Tino Franco; scritto dagli utenti del Dipartimento Salute Mentale del Centro Diurno di via A. di Giorgio. I credit, abbondantemente riportati in calce, rendono merito a quest’opera collettiva: fatica comune, partecipata di operatori e utenti del Dipartimento, col contributo tecnico di cineasti provetti. L’iniziativa nasce dall’attività ultradecennale del laboratorio di cineforum (diffusa nelle strutture del genere, ma per l’appassionato cinefilo risulta una novità, beata ignoranza!).
Ne vengo rapito. Cos’è un laboratorio di cineforum? È il mettere insieme gli utenti (non so se tutti o in parte) di un dipartimento e coinvolgerli nella passione per il cinema: il mercoledì pomeriggio a vedere un film, e poi discussione, come ai vecchi tempi. L’obiettivo è quello di mettersi a confronto con realtà “letterarie” raccontate dal film e raffrontarle con le proprie esperienze, avendo a metro la propria sensibilità ed una certa qual sensibilità comune, di gruppo: sublime ridondante autoreferenzialità, nei casi comuni, ma efficace metodo “terapeutico” o quanto meno strumento d’indagine.

È scontato che venga fuori l’idea che i film oltre a vederli e a parlarne si possano anche fare, imparando da chi li sa fare, imparando a interpretare i bisogni che spingono a scrivere, a far arte teatro pittura… Il bisogno che spinge il collettivo è quello di trovare definizione, se non altro ad una comune condizione, comune per chi non sta nel cono di luce, ed ha forza e sensibilità perché questa condizione venga colta e recepita: la condizione dell’invisibilità. L’invisibilità del titolo del filmato è la “qualità” che il protagonista Francesco scopre ed “usa” quando rimane senza lavoro. Quando il diritto fondamentale ad avere un lavoro viene a mancare, Francesco e tutti i franceschi del mondo diventano “Invisibili”, perdono la corporeità degli esseri umani e divengono spiriti, aria confusa nell’aria… nuddu ammiscatu cu nenti! Pozione potente è Silvia la bella ragazza che Francesco ama e che da lei è riamato. Ma la lotta col mondo che spegne la luce è continua, solo la lotta comune, l’azione perseverante, la cura di sé e insieme degli altri, permette di concepire un stato di equilibrio comune, di visibilità costante, uniforme, riconosciuta.

Casa del cinema

Voglio – devo – partecipare a questo laboratorio, ho trovato una vanga per scavare nel duro terreno, un moltiplicatore seriale di potenzialità, un esponente a poco prezzo da aggiungere in apice alla “normalità” noiosa e frustrante, condizione questa perfetta per rimanere sempre uguali a se stessi, senza mai crescere, moltiplicarsi, cambiare, altrificarsi… La scoperta di essere invisibili, quando lavoro affetti riconoscimenti declinano è già cura a se stessa. Domando: quanti “normali” sono invisibili anche a se stessi e non lo sanno?

Concludo questo particolare articolo con una mia breve riflessione poetica:

Percepire l’invisibile

Sono giorni agitati, di subbuglio.

Ho visto il film e ne scriverò oggi stesso, stai tranquilla;

come potrei passare avanti senza raccogliere

la bellezza stupefacente

che certe medicine inaspettate

hanno

nelle cure dei nostri corpi dolenti

e delle menti stanche, impaurite, raccolte, spesso dimentiche anche di se stesse…

Prendo un cucchiaio di celluloide al giorno,

due etti di carta stampata e

chiudo gli occhi per dieci minuti

cercando di ricordare

il calore di una carezza lontana,

la più lontana che mi riesce di ricordare.


Visto alla Casa del Cinema, venerdì 1 aprile 2022

PERCEPIRE L’INVISIBILE

Un film documentario prodotto e diretto da TINO FRANCO tratto da un’esperienza congiunta tra utenti  del Centro Diurno di via Antonino di Giorgio a Roma (ASL RM1), i loro terapeuti e professionisti del cinema. Il tema su cui si sviluppa il lavoro, durato due anni e realizzato in tempo di lockdown, è quello dell’Invisibilità, riferito alle fragilità dell’essere umano causate dalla marginalità, non considerazione e assenza di lavoro all’interno della società. Ispirata a Franco Basaglia sul concetto di gruppo alla pari, il documentario rappresenta un contributo “unicum” al sociale nella cura della collettività.

Scritto dagli utenti del Dipartimento Salute Mentale del Centro Diurno di via A. di Giorgio DSM ASL Roma 1Tutor della sceneggiatura: Matteo Martone │ Con: Tony Martone, Daria Neverova, Guglielmo Favilla, Daniele Coscarella, Tino Franco, Marcello Rossi, Desirée Giorgetti (attori) │ Laboratorio Cinema Centro Diurno: Pietro Salemme, James Franco, Giacomo Bucolo, Lorenzo Ielapi, Stefania Ammirati, Giulio Arca, Gabriele Carchedi, Elpidio Esposto Gasparetti, Anna Maria Giacomelli, Alessandro Giacopetti, Angela Grassano, Marco Raponi, Vincenza Diana Ruffino, Francesco Scardigno, Marco Tonna, Paolo ZanolliCinematografia: Filippo Genovese │ Montaggio: Alessandro Cerquetti │ Musica: kwaaui │ Visual Designer: Tommaso Ragnisco │ VFX: Luigi CammucaCostumi: Domitilla MontuoriAssistente Costumista: Federica PavoneTrucco: Camilla MasciProdotto da Space Off srls │ Co Prodotto da Morgana Studio e kwaaui.com │ Organizzatore generale: Francesco Abonante │  Direttore di produzione: Cristina CroceProgetto: in collaborazione con REGIONE LAZIO, COMUNE DI ROMA, ASL ROMA 1, AELLE IL PUNTO │ con il patrocinio di Anac (Associazione Nazionale Autori Cinematografici) │ con la partecipazione di BOOKCIAK, AZIONE!, LIBERAMENTE, CULTURASÌ, CINEMA FARNESE │ con il contributo di BBC Roma │ Serata presentata dalla giornalista Gabriella Gallozzi.

About Tano Pirrone 89 Articles
Sono nato in provincia di Siracusa, a Francofonte, l’antichissima Hydria dei coloni greci, quaranta giorni prima che le forze alleate sbarcassero a Licata. Era il 14 maggio 1943. Ho frequentato il liceo classico, ma non gli studi per giornalista, cui ambivo. Negli anni ’70 ho vissuto due lustri a Palermo, dove ho lavorato in fabbrica, come impiegato amministrativo- commerciale. Nel 1981 mi sono trasferito a Roma per amore di Paola, oggi mia moglie. Sono stato funzionario commerciale e Project Manager nel Gruppo Marazzi. Infine consulente d’azienda per Organizzazione Aziendale e Sistemi Qualità. Curo le piante della mia terrazza, vedo gente, guardo film e serie tv, vado a cinema e a teatro, seguo qualche mostra; leggo, divagando e raccogliendo fior da fiore, e scrivo di cinema, libri e teatro per Odeonblog; di altre cose per me stesso. Ho pubblicato anche su Ponza Racconta, Lo Strillo, RedazioneCulturaNews ed altri siti di cinema e teatro. Ho due figli, Francesco e Andrea, ed avevo un cane, Bam, che sta sempre con me dovunque io vada. Sono faticosamente di sinistra; sono stato incendiario ed ora dovrei essere ragionevolmente pompiere.
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Silvia Boccardi

Ciao Tano,

ho letto il tuo articolo. Lo condivido completamente, non ci sono cose da aggiungere. Sono iniziative meritorie, che sono spesso prese nei dipartimenti di salute mentale. per esempio il Maxxi ha fatto numerose edizioni di un festival di cortometraggi fatti dai Dsm. Ci sono andata diverse volte, si chiamava Lo spiraglio. Secondo me svolgono una funzione più umana  che terapeutica  in senso scientifico, e che, a mio parere, in molti casi è anche meglio. Inoltre, anche questo docu, pur nella sua semplicità e anche povertà, rivela momenti di verità e tenerezza.

Alessandra

La bellezza è nella poesia che i tuoi occhi e le tue parole riescono a trovare nelle cose. Grazie Tano!