A parte una recitazione più misurata ed introspettiva di un maturo Javier Bardem, che ci aveva abituato a ruoli platealmente aggressivi da macho o da maniaco, il film Il capo perfetto di Fernando Leon de Aranoa cavalca quel genere realistico sociale (una settimana in una fabbrica di bilance tra padrone e dipendenti), attraversato da una atmosfera thriller psicologica per evitare il banale quotidiano.
Non nello stile di denuncia sociale di Ken Loach come Sorry we missed you (2017) in cui i lavoratori non hanno il tempo nemmeno di andare al bagno. Né tanto meno il contraltare del basilare La classe operaia non va in paradiso (1971) di Elio Petri, vista dalla parte del padrone. Anzi c’è così tempo per tutti i dipendenti di incasinarsi e del capo di impicciarsi e risolvere i loro problemi, che tutto si trasforma quasi in commedia comica, annacquando la critica sociale in tanti faccia a faccia in cui il capo (pater familias onnipotente ed onnipresente) tenta di accomodare le situazioni per “il suo verso”, ricorrendo allo stesso tempo alla sua interpretazione personale del principio di indeterminazione di Eisenberg, “per cui tutto cambia quando una persona ne incontra un’altra”. Ma se una ne incontra un’altra sarà sempre la più debole a perdere. Vedi padrone – operai, come sta succedendo un po’ in tutto il mondo.
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