Un’altra sberla agli Oscar: questa è di Natalia Aspesi

a cura di Tano Pirrone

Sul numero del 28 marzo la Repubblica pubblica (pag. 38) un articolo impareggiabile di Natalia Aspesi sulla ‘sberla’ di Hollywood. Impossibile non proporlo ai lettori: è un vero esempio di autonomia di pensiero e di corrosiva qualità sarcastica. Lo propongo di seguito, facendolo precedere da un mio breve omaggio, in segno di rispetto e di ammirazione per la superba autrice.


Gentilissima Natalia,

La ringrazio per aver detto tutte le parole che avrei voluto dire, nell’ordine loro naturale per rendere al meglio i fatti e la loro sostanza. Mi creda io scrivo da umile rivoltator di zolle e sento nel mio microscopico mondo la difficoltà di esprimere a pieno e sinceramente le mie opinioni. I tempi sono quel che sono: guerre e sovvertimenti epocali nei costumi, falsi profeti e diamantine coscienze rifatte da poco. La generazione cui noi apparteniamo si trova di fronte a cambiamenti radicali e a vere e proprie inversioni di rotta nei comportamenti individuali e sociali; strumenti alienanti, interessi vastissimi e grandissima confusione impediscono di traguardare oltre le nebbie di una realtà vociante, stridente, fosca, urticante. Lei spesso, con il tono battagliero che la distingue, parla per noi resistenti; dice le cose come stanno e senza curarsi di loro scrive e passa. La ringrazio ancora per tutte le cose scritte nell’articolo, per come sono scritte e per il loro sanguigno messaggio di umanità; in particolare, termino ripetendo la sua frase di chiusura: «Di cosa si ha paura, del linciaggio se non si aderisce al pensiero unico? Si vuole piacere a tutti a tutti i costi? Oppure ci stiamo abituando alla sottomissione al più forte?»

Quel gesto è la realtà. Ci fanno più paura gli ipocriti e i bigotti

Non ci fosse stato Will Smith a ridare verità (anche se finta come si sospetta) alla più soporifera e maldestra notte degli Oscar (la novantaquattresima!), avremmo potuto dedicare una prece al cinema morituro per sua stessa volontà. In una scenografia da teatrino oratoriale un maschio nero, dimentico di #BlackLivesMatter, ha dato uno sganassone a un altro maschio nero, celeberrimo comico, ritenendosi lui insultato da una battuta forse non elegante riferita alla moglie, che solo un paio di anni fa avrebbe fatto sorridere (infatti prima di indossare l’armatura di cavalier cortese anche Smith aveva riso). Ma quando mai si ride oggi (forse alle gare di flatulenze o ai gatti che baciano galline su TikTok?) se siamo tutti lì frementi in attesa di offenderci? Infatti si è offesa l’Academy, perché nel mondo finto di oggi (in quello vero c’è la guerra) il nero non picchia né neri né bianchi, e noi signore cui nulla sfugge abbiamo subito accusato lo schiaffeggiatore di essere alfiere del patriarcato, in quanto doveva lasciare che fosse la sua magnifica signora a salire sul palco a difendere manescamente la sua bella testolina nuda (alopecia) che se non la riteneva adatta alla serata poteva banalizzare con una parrucca. Poi, si sa, il peccatore Smith ha chiesto scusa perché la violenza è una brutta cosa e tutti, tranne i russi, siam tornati buoni.

Will Smith con la moglie Jada Pinkett

Nella sua lunga storia l’Academy ha assegnato molti Oscar a vanvera, questa volta però con una sottomissione ideologica che travalica l’idea del valore cinematografico. Va bene l’inclusione, ovvio, che dovrebbe essere soprattutto un problema politico, economico e sociale: ma l’arte, e il cinema talvolta lo è, dovrebbe fuggire da conformismo, buonismo, ed essere sorprendente, persino trasgressiva, soprattutto mai ipocrita; almeno così era sino al più recente passato. Già quest’anno la scelta dei candidati era blanda, rassicurante, un po’ noiosa, impegnata a evitare sviste di genere o di diversità nel terrore di conseguenti ammutinamenti di massa. Negli ultimi anni i premi avevano già rispettato i codici dell’inclusione detta un tempo democrazia: le disuguaglianze di classe (Parasite, 2020), il passato razzista (Green Book, 2019), la muta e il mostro (La forma dell’acqua, 2018), l’omosessualità (Moonlight, 2017), la pedofilia nascosta (Spotlight, 2016). Ma questa volta si è esagerato nel privilegiare la mediocrità purché buona, miglior film ovviamente diretto da una donna, con la famigliola di sordi, migliori attori nei biopic sul babbo delle sorelle Williams tenniste nere, e su una predicatrice evangelica e un po’ peccatrice ma che si dice femminista; attori non protagonisti una nera lesbica e un vero sordo. Tanto per includere oltre ogni limite, sul palcoscenico il trans operato e pure una signora grassa ma non so in quale veste.
Proprio non si poteva escludere Il potere del cane con le sue 12 candidature, premiato per la regia (una donna, ovvio) e Belfast per la sceneggiatura originale, forse — con il giapponese Drive my car — i soli tre film che non saranno dimenticati. Oltre all’atomica, mi fa molta paura un mondo chiuso nella tirannia di una uguaglianza impossibile, bigotta e disonesta perché le inclusioni vere sono altre.
Di cosa si ha paura, del linciaggio se non si aderisce al pensiero unico? Si vuole piacere a tutti a tutti i costi? Oppure ci stiamo abituando alla sottomissione al più forte?

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Sono nato in provincia di Siracusa, a Francofonte, l’antichissima Hydria dei coloni greci, quaranta giorni prima che le forze alleate sbarcassero a Licata. Era il 14 maggio 1943. Ho frequentato il liceo classico, ma non gli studi per giornalista, cui ambivo. Negli anni ’70 ho vissuto due lustri a Palermo, dove ho lavorato in fabbrica, come impiegato amministrativo- commerciale. Nel 1981 mi sono trasferito a Roma per amore di Paola, oggi mia moglie. Sono stato funzionario commerciale e Project Manager nel Gruppo Marazzi. Infine consulente d’azienda per Organizzazione Aziendale e Sistemi Qualità. Curo le piante della mia terrazza, vedo gente, guardo film e serie tv, vado a cinema e a teatro, seguo qualche mostra; leggo, divagando e raccogliendo fior da fiore, e scrivo di cinema, libri e teatro per Odeonblog; di altre cose per me stesso. Ho pubblicato anche su Ponza Racconta, Lo Strillo, RedazioneCulturaNews ed altri siti di cinema e teatro. Ho due figli, Francesco e Andrea, ed avevo un cane, Bam, che sta sempre con me dovunque io vada. Sono faticosamente di sinistra; sono stato incendiario ed ora dovrei essere ragionevolmente pompiere.
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