Domeniche che potevano andare assai peggio


The Interpreter di Sydney Pollack (2005) su Sky

di Tano Pirrone

Domenica pomeriggio. Stanchezza. Insoddisfazione. Da fuori non arriva un rumore: il blocco delle auto è completo e non c’è neanche quel po’ di gente che durante la settimana da conto di sé con voci perdute e rumori. Ripongo il cruciverba oggi particolarmente ostico e mi stravacco. Sono i momenti in cui un film, solo un film può salvarci: accendo e mi dirigo al 301 di Sky Avenue, dove spesso si rimorchia qualche compiacente pellicola che avrà cura di te per un paio di ore, sgravandoti del mal d’essere e traghettandoti nell’accessibile indolente normalità.

Compare l’Africa, una Jeep, morti ammazzati. Sto per saltare su un altro battello, quando compare la silfide antipode, la bellissima e meravigliosamente brava Kidman, la Nicole Kidman che si vede sempre a scatola chiusa. Se non mi credete andate a leggervi la sua filmografia. È una che sa scegliere cosa interpretare, mai sotto un certo livello, parti mai secondarie, personaggi con alta personalità che la bravura innata e sapientemente coltivata di Nicole ha saputo incanalare in una carriera raffinata ed esemplare.

Dalle prime immagini che scorrono ho l’impressione di aver già visto il film. Vado a vedere l’info e scopro che si tratta di The Interpreter un film del 2005, che si svolge quasi tutto a New York ed un po’ in un paese immaginario, ma altamente simbolico, dell’Africa. È la New York orfana dei due immensi obelischi tirati giù dalla tracotanza e dall’odio, dalla prevaricazione e dalle bugie del potere. È la New York dell’Onu e delle delegazioni di tutto il mondo che hanno scelto Manhattan come casa e come posto di lavoro, ma di cui sinceramente ci aspettavamo e a dire la verità ci aspettiamo di più. Il film è opera di Sydney Pollack, e già questa informazione è sufficiente per sedermi comodo, dimenticare le altre cose che avrei dovuto fare, secondo il mio bislacco odierno ordine di servizio. Non si perde mai un lavoro di Pollack, di uno che ha fatto ricca la mia

generazione di film che ci hanno fatto ardere dentro, ci hanno dato forza e ci hanno fatto sedere sulla sponda giusta del fiume: Non si uccidono così anche i cavalli (1969), Corvo rosso non avrai il mio scalpo (1972), Come eravamo (1973), I tre giorni del Condor (1975), Il cavaliere elettrico (1979); Diritto di cronaca (1981), Tootsie (1982), La mia Africa (1985), Il socio (1993). Oggi ci trascinano nella nostalgia canaglia, infame, traditrice che ci riporta agli anni più belli, in cui si viveva per vivere, passato, futuro e presente in un gomitolo oscuro e dal sapore forte di erbe esotiche.

Il film di Pollack è imperdibile e quindi do il comando per tornare all’inizio e vederlo sin dai titoli di testa, in cui, così per caso, troneggia l’altro mito, il nientepopodimeno che Sean Penn: scusate se è poco: Pollack, Penn e la fatina Nicole (tre titoli per conquistare l’immortalità, almeno quella che io concedo a mia assoluta discrezione e su cui non tollero discussioni, tre titoli, oltre quello di cui scriviamo): Eyes Wide Shut, regia di Stanley Kubrick (1999), Moulin Rouge!, regia di Baz Luhrmann (2001), Dogville, regia di Lars von Trier (2003). Se Sean sa che ho citato i film di Pollack e della divina havaiana s’incazza di brutto e quindi sono costretto a ricordarmene almeno tre grandissimi: Mystic River, regia di Clint Eastwood (2003); This Must Be the Place, regia di Paolo Sorrentino (2011); Milk, regia di Gus Van Sant (2008). Per i primi due ha vinto la statuina di Zio Oscar e il terzo è, per me, il miglior film dell’eternamente ridondante regista napoletano.

Torniamo al film, che è fatto benissimo; i due personaggi interpretati da Kidman e Penn sono molto ben definiti, descritti pur nella complessità di vicende personali che si svolgono altrove o in altro tempo e che sono presenti nella narrazione verbale dei due interpreti. L’ambientazione della sede dell’Onu è affascinante: si tratta della prima pellicola alla quale sia stata concessa l’autorizzazione a filmare delle scene all’interno del palazzo di vetro dell’Organizzazione delle Nazioni Unite a New York; precedentemente altri registi, tra i quali Alfred Hitchcock per il suo Intrigo internazionale, si erano visti rifiutare il permesso che l’allora segretario generale, Kofi Annan, ha invece concesso a Pollack.

The Interpreter è l’ultimo film girato dal cineasta statunitense prima della sua morte, avvenuta tre anni dopo l’uscita di quest’opera. Non è il suo capolavoro, ma la particolare irripetibile confluenza astrale di protagonisti e di tematiche mi obbligano a consigliarlo: se lo perdeste, vedetelo; se lo vedeste, rivedetelo: due ore con tre nostri grandi amici non sono mai perdute, fossero anche tre.
Ciao a tutti.

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Sono nato in provincia di Siracusa, a Francofonte, l’antichissima Hydria dei coloni greci, quaranta giorni prima che le forze alleate sbarcassero a Licata. Era il 14 maggio 1943. Ho frequentato il liceo classico, ma non gli studi per giornalista, cui ambivo. Negli anni ’70 ho vissuto due lustri a Palermo, dove ho lavorato in fabbrica, come impiegato amministrativo- commerciale. Nel 1981 mi sono trasferito a Roma per amore di Paola, oggi mia moglie. Sono stato funzionario commerciale e Project Manager nel Gruppo Marazzi. Infine consulente d’azienda per Organizzazione Aziendale e Sistemi Qualità. Curo le piante della mia terrazza, vedo gente, guardo film e serie tv, vado a cinema e a teatro, seguo qualche mostra; leggo, divagando e raccogliendo fior da fiore, e scrivo di cinema, libri e teatro per Odeonblog; di altre cose per me stesso. Ho pubblicato anche su Ponza Racconta, Lo Strillo, RedazioneCulturaNews ed altri siti di cinema e teatro. Ho due figli, Francesco e Andrea, ed avevo un cane, Bam, che sta sempre con me dovunque io vada. Sono faticosamente di sinistra; sono stato incendiario ed ora dovrei essere ragionevolmente pompiere.
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