di Riccardo Colella
Si apre con l’inquadratura di un metronomo, Ennio: il documentario diretto da Giuseppe Tornatore e incentrato sulla figura del compositore italiano Ennio Morricone, scomparso il 6 luglio 2020 all’età di 91 anni. Appare quindi il Maestro che, freneticamente e in modo quasi ansioso, cammina per casa e si dedica ai consueti esercizi fisici. Presentato fuori concorso a Venezia78, il film-tributo è un omaggio all’amico e collaboratore del regista, attraverso le testimonianze di chi Morricone l’ha conosciuto, vissuto, compreso ed amato. Registi, sceneggiatori, musicisti, compositori, rockstar e critici trovano spazio nei 152 minuti che volano via leggeri sulle note delle più iconiche opere del compositore romano. Da Gianni Morandi a Gino Paoli e Edoardo Vianello, da Bruce Springsteen ai Metallica, da Carlo Verdone a Dario Argento fino a Nicola Piovani, Quincy Jones, Joan Baez e Bernardo Bertolucci. E poi, ancora, mostri sacri come John Williams e Hans Zimmer a rendere omaggio al più grande di tutti. Anche se fosse stato lungo 10 ore, il film di Tornatore non avrebbe perso un briciolo della sua forza e della sua intimità.
Il personaggio Morricone descritto e messo a nudo come mai prima d’ora. Si parte dalla giovinezza, dai periodi difficili vissuti dalla famiglia e l’amore per la musica. L’incontro – nolente o dolente – con la tromba, passaggio di consegne quasi obbligato, da parte del padre. Gli studi al Conservatorio e le sperimentazioni musicali coi compagni di corso. Le prime esperienze lavorative nel campo della composizione e le firme come arrangiatore dei più grandi successi della musica italiana negli anni ’60. Il cordone ombelicale mai reciso col suo maestro Goffredo Petrassi, alfiere di una scuola classica così rigida e che faticava a comprenderlo, tanto da mortificarne l’estro creativo. Gli pseudonimi per nascondersi da quella spocchia e dalle gelosie che lo travolgono come peggio non si potrebbe. E hai voglia a nasconderti dietro alla retorica di quel “purismo musicale che non si deve commistionare col cinema”. Sullo schermo si susseguono, in ordine cronologico, le migliori scene dei film western diretti da Duccio Tessari, Sergio Sollima e Sergio Corbucci, per ritrovarci in quell’epopea targata Sergio Leone che ne consacrerà l’immagine. Si entra negli anni ’70 ed anche il carrozzone hollywoodiano si accorge di lui. Tutti i più grandi lo vogliono e di lì in avanti, la grandezza diventa leggenda fino a sconfinare nel mito.
Una carriera costellata di ovazioni, come quelle tributatigli da Clint Eastwood e Quentin Tarantino. Quegli Oscar che non sembravano arrivare mai e il merito di aver dato vita a un inedito universo creativo, libero di spaziare dal mondo musicale a quello cinematografico, così distanti per l’epoca. Non so e non sappiamo come sarebbe stato il cinema senza le opere del Maestro Morricone. Ma la più profonda gratitudine è per il solo fatto di non averlo mai dovuto scoprire. Ennio è poesia. Ennio è emozione. Ennio è empatia. Ennio è lacrime e sorrisi. Ennio è un viaggio nel mondo del cinema, da compiere ad occhi chiusi. Ennio è atmosfera. Ennio è un’esperienza sensoriale da far accapponare la pelle. Ennio è straziante. Ennio racchiude i sogni, le frustrazioni, i timori e i rimorsi del compositore. Ennio è un omaggio. Ennio è una lettera a un amico che non c’è più. Ennio è una dichiarazione d’amore verso colui che vive in ciascuno di noi. Ennio è un attestato di stima nei confronti del più grande compositore italiano del XX secolo. Ennio è un applauso a scena aperta da parte dell’Academy e una preghiera di scuse per non avergli reso l’omaggio che meritava. Ennio è il tributo a un genio. Ennio è rivalsa. Ennio è qualcosa che non si può raccontare. Ennio è un’esplosione di vita e sublimazione dell’immortalità. Ennio è un film che va vissuto al cinema, per viverne la magia e non mortificare il ricordo di un gigante che siede al tavolo con Bach, Stravinskij, Verdi, Mozart e Beethoven, e a cui tutti offrono da bere.