BACCANTI di Euripide

BACCANTI di Euripide
Carlus Padrissa (La Fura dels Baus) Teatro Greco di Siracusa Luglio 2021

di Tano Pirrone

Rozzo e iperpopolare ci è parso lo spettacolo da Cirque du Soleil che il capataz [1]di La Fura dels Baus ha offerto nel sacro sito del Teatro greco di Siracusa. Tiepidi i riscontri fra la gente, fatti salvi comprensibili focolai di tifo interessato: la numerosità dei coristi lascia immaginare l’altrettanto grande disponibilità di posti per claque sparse ed entusiaste. Si è ampiamente salvata Lucia Lavia, che ha interpretato in modo ineccepibile un Dioniso post Jocker, doppio, equivoco, sopra-sotto, eversivo: uomo e donna, essere umano e divinità, invasa da consapevole follia distruttiva. Lucia Lavia, mima e recita magnificamente l’Ente dionisiaco, senza equivoci e stanchezza, magnificamente duale, misterica, miserabilmente trascendente. I suoi occhi recitano con lei e ci guardano con la follia veggente di un nuovo dio. Gli umani solo al termine, con la morte di Penteo, si avvedono dell’enormità del disastro e si riconoscono – e li riconosciamo in ciò – più saggi degli dei, che per loro stessa natura non possono -non potrebbero, non dovrebbero- essere preda di passioni peggiori di quelle degli uomini, che questa violenza vendicativa non hanno, o non dovrebbero avere, e se hanno – ora lo comprendiamo – è solo come riflesso del divino che è in loro. Penteo: personaggio cruciale affidato alle mossettine di un Ivan Graziano assolutamente inadeguato al ruolo (perché affidarglielo, allora, ci chiediamo: non manca certo la bravura e l’esperienza al boss della compagnia teatrale catalana, la quale a nostro trascurabile avviso ha prodotto il miglior suo spettacolo in occasione dell’inaugurazione dei Giochi olimpici di Barcellona 1992). Non ne comprendiamo il motivo e reputiamo l’interpretazione fornita demenziale e dilettantistica; tanto più perché continuamente a confronto con l’ottima prova di Lavia, con la misurata (forse troppo) saggezza di Tiresia (un Antonello Fassari ineccepibile) e con la superficiale figura di Cadmo (un oscillante Stefano Santospago), sbucato da una botola con un efficiente soffiatore di polvere e alla fine lentamente avviato al – per lui – triste esilio). Il trio del potere detronizzato dalla furia iconoclasta di Dioniso/Lavia si completa con Agave, madre del perduto Penteo, la cui prova il regista ha voluto macchiettistica e ridicola, come a voler umiliare ruoli per lui fuori tempo, archiviati dalla rivoluzione totale delle seguaci e dei seguaci del narciso dio Bacco. Il racconto degli eventi fuori campo fortunatamente è fornito in presa diretta dagli inviati speciali che con regolarità prendono contatto con gli spettatori: sappiamo così delle follie compiute dalle donne di Tebe, dal capovolgimento di valori e ruoli, e comprendiamo come ogni grande cambiamento dei valori e dei comportamenti comporti strazio e dolore. Non è la morte del Penteo grazianeo che ci affligge, né l’esilio cui si dirigono il Cadmo berlusconiano e l’Agave sottoshock, ma il posto perduto di Tiresia (di cui ricordiamo la doppia natura maschio-femmina), celebrato nel 2018 nello stesso braciere del Teatro dall’immenso Andrea Camilleri.

Rimane irrisolto il busillis fra opera di religione e opera contro la religione:
c’è un dibattito vivo da alcuni decenni. In sintesi, così lo riportiamo: se Euripide, nella sua ultima prova autoriale, avesse voluto mettere in scena un’opera religiosa, forse non avrebbe messo così in evidenza gli aspetti più sconcertanti del dionisismo, ma avrebbe maggiormente posto l’attenzione sugli aspetti positivi (naturalmente presenti e su cui Padrissa ha costruito la sua regia), opportunamente affidandoli a canti corali (ma qui i cori sono formati da invasate fanciulle e dinoccolati fanciulli). Queste caratteristiche portano in tanti a interpretare l’opera in senso del tutto opposto, valutandola non come una riscoperta della religione, ma riconoscendovi i caratteri di pesante invettiva antireligiosa. Lo dice Cadmo, rassegnato e sul piede dell’esilio a Dioniso verso la fine dell’opera: «Non è bene che gli dei rivaleggino nell’ira con gli uomini», critica cui il dio non risponde, limitandosi a navigare nell’ovvio: questa è la volontà di Zeus, cioè è così e basta. D’altronde gli dei non sono altro che gli uomini al loro massimo esponente: riflette, l’empireo, la crudele condizione dell’uomo, che vede, guardando il cielo, riflessa in formato smisurato la sua condizione, le sue potenzialità, i suoi timori e le sue speranze.

La tragedia si conclude con molti interrogativi e nessuna risposta, mentre è manifesta la spietata vendetta del dio Dioniso. Un altro interrogativo che ci rimane irrisolto è quello che nasce dal divario avvertito e decisivo per un giudizio sull’opera fra quanto chiaramente espresso dal regista catalano nella sua nota di regia (pubblicata nell’ottimo volume “Baccanti” edito da Inda) e il nostro giudizio sul prodotto finale offerto. Nella nota Carlus Padrissa chiama in causa la condizione della donna a livello globale e l’adeguatezza della forma del teatro furero[2] in cui il lavoro rappresentato è prima opera d’arte totale estesa alla partecipazione passionale del pubblico e coinvolgente fino a pervenire all’opera sferica. Il risultato, però, per noi è quello di cui abbiamo dato conto. L’ampia e indiscussa fama della compagnia e del regista che la rappresenta è garanzia assoluta d’ingegno e d’impegno, che non basta, però a vincere la scommessa, qui a Siracusa, tempio del Teatro e teca della classicità.

I sandali dei Greci lasciano orme più indelebili dei Charro ispanici.

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Note:
[1] Capitano
[2] Si riferisce al nome della compagnia teatrale La Fura dels Baus

Baccanti di Euripide
Teatro Greco di Siracusa – Luglio 2021
Traduzione: Guido Paduano │ Regia, scene e musiche: Carlus Pedrissa (La Fura dels Baus) │ Coreografie e assistente alla regia: Mireia Romero Miralles │ Costumi e scenografo assistente: Tamara Joksimovic │ Regista assistente: Emiliano Bronzino │ Direzione dei cori: Simonetta Cartia │ Collaborazione alla drammaturgia: Toni Carbini, Michele Salimbene │ Assistente regia: Maria Josè Revert │ Disegno luci: Carlus Pedrissa │ Assistente volntaria: Ornella Matranga │ Direttore di scena: Mattia Fontana │ Assistente di scena: Giuseppe Coniglio. Personaggi ed interpreti: Dioniso,Lucia Lavia │ Cadmo, Stefano Santospago │ Tiresia, Antonello Fassari │ Penteo, Ivan Graziano │ Primo messaggero, Spyros Chamilos / Francesca Piccolo │ Secondo messaggero, Antonio Bandiera │ Agave: Linda Gennari │ Corifee: Simonetta Cartia / Elena Polic Greco

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Sono nato in provincia di Siracusa, a Francofonte, l’antichissima Hydria dei coloni greci, quaranta giorni prima che le forze alleate sbarcassero a Licata. Era il 14 maggio 1943. Ho frequentato il liceo classico, ma non gli studi per giornalista, cui ambivo. Negli anni ’70 ho vissuto due lustri a Palermo, dove ho lavorato in fabbrica, come impiegato amministrativo- commerciale. Nel 1981 mi sono trasferito a Roma per amore di Paola, oggi mia moglie. Sono stato funzionario commerciale e Project Manager nel Gruppo Marazzi. Infine consulente d’azienda per Organizzazione Aziendale e Sistemi Qualità. Curo le piante della mia terrazza, vedo gente, guardo film e serie tv, vado a cinema e a teatro, seguo qualche mostra; leggo, divagando e raccogliendo fior da fiore, e scrivo di cinema, libri e teatro per Odeonblog; di altre cose per me stesso. Ho pubblicato anche su Ponza Racconta, Lo Strillo, RedazioneCulturaNews ed altri siti di cinema e teatro. Ho due figli, Francesco e Andrea, ed avevo un cane, Bam, che sta sempre con me dovunque io vada. Sono faticosamente di sinistra; sono stato incendiario ed ora dovrei essere ragionevolmente pompiere.
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